Nel progetto originario era collocato a piazza Vittorio Emanuele II, luogo cardine tra vecchio e nuovo assetto cittadino. Fu installato a piazza Venezia: una posizione strategica rispetto alla Roma governativa
(Numero 27 – Bimestre set-ott 2019 – Pagina 8)
Il 14 settembre 1871, in Campidoglio, il Consiglio comunale aveva approvato il progetto del nuovo ‘quartiere’ dell’Esquilino sull’asse della Strada Felice – lo stradone di Santa Croce in Gerusalemme – come raccordo tra la città vecchia e la città nuova, con al suo centro una vastissima piazza da dedicare a re Vittorio Emanuele II. Nella piazza avrebbe dovuto innalzarsi il monumento al re sabaudo, espressione dell’Indipendenza e dell’Unità d’Italia. Anni dopo, pur restando sempre attuale il programma di realizzare una grandiosa piazza intitolata al primo re dell’Italia unita, l’idea del monumento aveva cominciato a vacillare.
Il Concorso internazionale. La morte del re, il 9 gennaio 1878, e la partecipazione straordinaria dei romani ai solenni funerali, aveva convinto il Governo a prendere una decisione nel merito. Accantonata definitivamente l’idea di realizzare qualsiasi tipo di Pantheon, il 23 settembre 1880, finalmente – presidente del consiglio Benedetto Cairoli – viene pubblicato un bando di concorso per realizzare il monumento celebrativo, aperto alla partecipazione di tutti ma che, per la sua vaghezza, lascia campo libero sul luogo dove realizzare il monumento. La partecipazione è consistente e assai variegata. Sono stati presentati infatti 292 progetti (di cui 236 italiani) da architetti, ingegneri, pittori, scultori, impiegati tecnici, decoratori, ingegneri del genio civile, professori di ornato e di statuaria ma anche da “generali in pensione, segretari dei ministeri e incaricati ai telegrafi”. Alcuni sono professionisti affermati, “artisti egregi e uomini di studio”, altri sono “giovani in cerca di gloria” e spesso privi “delle armonie del disegno”. Tutti i progetti nel dicembre 1881 vengono esposti al pubblico in una mostra allestita presso il museo agrario-geologico di via XX Settembre, da poco inaugurato.
Pochi i progetti meritevoli di premio. Nel loro complesso i progetti sono estremamente eterogenei. Molte proposte fanno riferimento a tipologie tradizionali – colonne e archi di trionfo – utilizzando ornati policromi, fregi aurei o marmi preziosi spesso combinati a strutture metalliche. Altre si rifanno al battistero o al tempio, con tipologie desunte dall’antico, riproposte con sovrapposizioni e iterazioni. La Commissione giudicatrice, scartato oltre l’80% dei progetti, il 1 aprile 1882 premia l’unico progetto che ha raggiunto la quasi unanimità dei voti, redatto da un giovane allievo dell’Accademia di Francia, Henri-Paul Nénot, scatenando di conseguenza “sublimi sentimenti patriottici”. Un secondo premio viene comunque assegnato ex-aequo a due professionisti romani, lo scultore Ettore Ferrari (1845-1929) e l’architetto Pio Piacentini (1846-1928) ed un terzo allo scultore ferrarese Stefano Galletti (1832-1905). Il concorso, “colpa della arcipessima legge votata dal Parlamento”, viene comunque ufficialmente dichiarato fallito perché “nessuna proposta poteva soddisfare le esigenze della nazione”.
Alla ricerca di un sito. Le localizzazioni proposte vanno dal Pincio al Campidoglio, dal Quirinale al Gianicolo. Soltanto un architetto toscano, Corinto Corinti, ripropone l’originaria piazza Vittorio Emanuele II, delineando però una diversa zonizzazione urbanistica per impegnare completamente le aree ancora libere del nuovo ‘quartiere’ Esquilino e farne il centro politico della Roma italiana. Rifacendosi al mausoleo di Teodorico a Ravenna, la celebre costruzione funeraria degli Ostrogoti, l’architetto Corinti propone sull’asse di Santa Croce in Gerusalemme, a metà strada tra la piazza e la basilica, in corrispondenza di via Statilia, un monumento di dimensioni eccezionali. Il monumento al re viene quindi previsto al centro di un vasto invaso spaziale, circondato da otto edifici imponenti, sede dei ministeri – Interni, Esteri, Istruzione pubblica, Commercio, Lavori Pubblici, Guerra, Marina, Grazia e Giustizia – fortemente rappresentativi per le valenze autocelebrative ed in sintonia con le strategie di assetto della nuova capitale. Si tratta di una maestosa torre celebrativa – “la mole sabauda”, la “più alta del mondo che grandeggi sopra tutti i monumenti dell’antica Roma”, composta dalla “giustapposizione di tre parti diverse”: alla base, un corpo ottagonale di eccezionale altezza “traforato con un doppio ordine di arcate”, al centro la statua del sovrano ed in alto la copertura rastremata. E, a coronamento, “una sorta di minareto di gusto orientaleggiante” riproposto in stile nazionale.
La scelta definitiva. Messa da parte l’idea di realizzare il monumento a piazza Vittorio Emanuele II, nel dicembre 1882 viene indetto un secondo concorso e dopo diverse vicissitudini, nel luglio 1884, viene approvato il progetto del conte Giuseppe Sacconi, un giovane architetto marchigiano, che localizza il monumento – il Vittoriano – a piazza Venezia, “proponendo un complesso sulle pendici del Colosseo a fondale del Corso ben visibile da piazza Colonna, centro della Roma governativa”, interpretando “in forma di pastiche neoantico le indicazioni del bando”. Il cantiere per la sua realizzazione avrà tempi lunghissimi sicché l’intera procedura potrà dirsi conclusa con l’inaugurazione ufficiale del monumento soltanto il 4 giugno 1911.
Carmelo G. Severino