Gli aristocratici prediligevano l’Esquilino per la costruzione dei loro splendidi Horti, simbolo di ricchezza e potere
(Numero 3 – Bimestre nov-dic 2015 – Pagina 8)
Il territorio dell’Esquilino dagli anni di Augusto sino al III secolo dopo Cristo ha rappresentato, come già il Pincio, il Collis Hortulorum caratterizzato da grandi e lussureggianti ville suburbane. Dopo la riqualificazione dell’area da parte di Mecenate e la costruzione della sua magnifica villa, infatti, altri splendidi Horti, vennero realizzati sulle alture dell’Esquilino, sino alle pendici del Cispio, dell’Oppio e del Celio e sul lato orientale verso la pianura attraversata dallavia Labicana e dalla via Prenestina.
Ma cosa sono gli antichi Horti romani? Sono ricche dimore suburbane corredate da giardini e parchi; luoghi di otium per la vita contemplativa, articolati in padiglioni per il riposo, con salette per i triclinia aestiva, palestre, piccoli teatri e santuari dedicate alle divinità, con prati, boschi, bacini d’acqua per le fontane e terrazze scenografiche inserite nel paesaggio. Senatori, consoli e facoltosi possidenti in quegli anni realizzano Horti sempre più estesi e lussuosi,il cui mantenimento necessita di armate di schiavi. Gli Horti, le cui mura possono proteggere congiure e dare asilo ai faziosi, assumono con il tempo anche un preciso significato di potere per l’aristocrazia romana e iniziano ad essere considerati come una potenziale minaccia per il potere imperiale, a tal punto che molti imperatori – da Tiberio a Caligola, da Nerone a Settimio Severo – in vario modo, per diminuire il potere delle grandi famiglie, si appropriano dei loro fondi acquisendoli al demanio imperiale, accorpandoli o smembrandoli.
Dove si trovavano gli antichi Horti. Non si conosce esattamente la loro collocazione topografica, ma si ipotizza che confinanti con gli Horti di Mecenate, localizzati verso la valle percorsa da via Merulana, ci fossero, sul versante sud-orientale dell’Esquilino, gli HortiLamiani, (attuale piazza Vittorio Emanuele e dintorni), impiantati per iniziativa di Lucius Aelius Lamia, console nel 3.d.C. e amico personale di Tiberio, e accanto ad essi gli Horti Maiani, a noi noti soltanto per testimonianze epigrafiche. Come gli Horti di Mecenate, anche quelli Lamiani e i Maiani vennero successivamente acquisiti al demanio, e con Caligola, divennero il nucleo di una vasta proprietà imperiale. Sempre all’Esquilino, si impiantarono gli Horti Torquatiani, nell’area dell’attuale Porta Maggiore, per iniziativa di Torquato Silano, console nel 53 d.C., e gli HortiTauriani, per iniziativa di Tito Statilio Tauro, console nel 44 d.C., anch’essi ben presto confiscati. Claudio prima e poi Nerone suddivisero gli Horti Tauriani per donarli a Pallante ed Epafrodito, ricchissimi liberti. Caduti in disgrazia i proprietari, però, gli Horti Pallantiani e gli Horti Epaphroditiani ritornarono nel demanio imperiale. Nerone (54-68 d.C.) riunificò tutti gli Horti nella Domus Aurea, la sua magnifica ed estesissima residenza. Ancora all’estremità occidentale dell’Esquilino furono impiantati gli Horti Lolliani- situati nell’area compresa tra l’attuale via Principe Amedeo e la zona dove Diocleziano costruirà le sue Terme – e gli Horti Calyclani, noti soltanto per due cippi ritrovati vicino a Sant’Eusebio. In età tardo-antica, si realizzarono gli HortiVariani,in area prossima a Porta Maggiore-che agli inizi del IV secolo diventarono proprietà imperiale di Elena, madre di Costantino. Nell’area dell’attuale Minerva Medica sorsero gli Horti Liciniani (dal nome della Gens Licinia), diventati nel III secolo di proprietà dell’imperatore Gallieno (253-260 d.C.) che, per ospitare l’intera corte imperiale, vi realizzò la sua grandiosa residenza extraurbana.
Crisi e decadenza. Con la grave crisi economica del III-IV secolo d.C., però, sopraggiunse il degrado e il territorio si avviò una lenta ma progressiva decadenza. Con le invasioni barbariche, la scomparsa degli Hortiromani divenne infine definitiva e, nel corso del IV secolo (da Costantino a Teodosio), gli Horti erano ormai del tutto scomparsi, sostituiti da incolti e terreni agricoli, molti dei quali appartengono alle chiese e alle basiliche del nuovo culto cristiano emergente.
Carmelo G. Severino