Un ritorno alla tradizione romana prima di continuare nelle scoperte culinarie dal resto del mondo
(Numero 4 – Bimestre nov-dic 2015 – Pagina 15)
Dopo tanto girovagare, l’idea di passare un Natale in casa non mi dispiace. Le tappe che mi attendono sono molte e la strada da percorrere la immagino ricca di scoperte culinarie appetitose. Prima di affrontarle decido di arrendermi alla tradizione: atterro a Fiumicino felice di riabbracciare la mia terra. Splendida come sempre, Roma trasuda cultura, in eterno contrasto con il caos metropolitano. Diversa dai Paesi visitati fino ad ora, la mia città ha un fascino unico, non posso non riconoscerlo: mi è mancata!
Arrivo in tarda serata e l’Esquilino è l’ombra di ciò che era. Ricordo un rione ordinato, pulito, degno di una zona situata nel centro della Capitale. In un deserto urbano mi dirigo senza troppe soste verso casa: Palazzo del Freddo.
Le radici. È emozionante confrontarsi nuovamente con le origini. Negli ultimi mesi ho assaggiato verdure speziate, sapori orientali e prodotti di terre lontane, persino dessert indiani. Eppure sono cresciuto con gelato al cioccolato e zabaione. Entro in gelateria e un forte odore di crêpe mi fa subito sentire a casa. Vedete, l’artigianalità ha un valore profondo. Un prodotto artigianale non può essere impeccabile, deve essere imperfetto e ha l’obbligo di inebriare tutti i sensi. In quell’imperfezione io sono nato e cresciuto, so riconoscerla. Mi faccio dare un cucchiaino di zabaione. Il mio bisnonno sosteneva orgoglioso che quello prodotto da lui aveva dato “forza e vigore” persino a Primo Carnera il giorno della sua grande vittoria. Io in quel cucchiaino racchiudo parte della mia infanzia. Il gusto di marsala è intenso, freddo, vero. L’impatto con un prodotto non industriale deve far sciogliere la critica all’istante, non si tratta di gusto ma di veridicità di sapori. È necessario penetrare in quelle imperfezioni per scoprire la reale natura di un prodotto. Provo un po’ di stracciatella, il retrogusto lontano di vaniglia e il convincente sapore di latte e panna confermano: sono a casa!
Per chi ama la tradizione. Parte della mia storia lavorativa appartiene al gelato artigianale e oggi vorrei poter condividere la mia esperienza con chi apprezza la nostra storia. La sua produzione è semplice, per quello di una volta lo è ancora di più: si cuoce una miscela di latte e panna freschi e zucchero, la temperatura e il tempo variano in funzione della presenza o meno di uova o cacao; quest’ultimo sprigiona il meglio dei propri aromi a 85 gradi. Cotta questa miscela la si lascia raffreddare, è importante un periodo di maturazione, ossia di “riposo”, in cui le materie prime si amalgamano ed esprimono tutte le loro potenzialità. Finisce qui la prima fase. Non resta che aggiungere il gusto che vogliamo produrre: nocciole tostate, meringata e tuorlo d’uovo per la crema, scaglie di cioccolato e panna per la stracciatella. Il tutto si inserisce in un macchinario chiamato mantecatore. Meccanico e chirurgico, questo strumento tecnologico si sostituisce al gelatiere solo in questa fase, pur mantenendo le stesse finalità: immettere aria nella miscela durante l’agitazione del composto, raffreddandolo. Il mio bisnonno lo faceva a mano, mantecando il tutto in un contenitore immerso nel sale per garantire l’abbattimento della temperatura.
L’artigianalità. Risiede nella lavorazione della miscela, nella ricerca della materia prima e nell’intervento del gelatiere in ogni fase della produzione. Riconoscere un gelato artigianale è importante, eppure non tutti i parametri sono conosciuti dai più. Vi do un aiuto: colori naturali, diffidate sempre dei puffi, il blu in natura lasciamolo al mare. Il sapore deve essere deciso, corposo, deve uscir fuori oltre al gusto anche la base sostanziosa degli ingredienti. Si deve sciogliere in maniera naturale e alla vista in vaschetta non deve apparire gonfio e agghindato a festa, la semplicità è il sinonimo diretto dell’artigianalità. È meglio che ne risenta l’occhio, piuttosto che lo stomaco. Semplice no?
Ritorno al quotidiano. I ragazzi del laboratorio mi accolgono felici, non immaginano quanto io sia emozionato. Tutto questo mi è mancato e mi immergo nuovamente nella mia realtà. Osservo dall’ufficio un bambino tuffarsi in una coppetta di cioccolato e panna sporcandosi il viso. Mi somiglia. Credo sia negli occhi dei piccoli l’unica critica oggettiva possibile, ma lui sembra gradire. Torno subito a lavoro: nuovi gusti, nuove versioni del sanpietrino e un evento da me fortemente voluto: il 16 Dicembre alle 12 verrà inaugurato qui al Palazzo del Freddo il nuovo Laboratorio adibito alla sola produzione di sanpietrini. L’Esquilino è invitato per un assaggio, prima che io riparta nelle esperienze culinarie del rione.
Andrea Fassi