Simbolo della città, il “sercio” quadrato ha ancora motivo di esistere lontano dalle strade a scorrimento veloci
(Numero 5 – Bimestre gen-feb 2016 – Pagina 2)
Strade colabrodo, rumore, traffico. Quasi tutti i giorni questi argomenti ruotano vorticosamente sui giornali e si passano la mano.
Vecchia diatriba. La guerra della pavimentazione coinvolge l’estetica, la tradizione, la cultura e lambisce anche gli aspetti economici per via dei costi di manutenzione. Solo che, una volta perché ci sono le elezioni, un’altra perché manca un “progetto organico” o perché nel bel mezzo del periodo giubilare, alla fine domina il rattoppo, il rappezzo, con il risultato frequente che spesso la toppa è peggio del buco. Se poi aggiungiamo il modo di esecuzione dei lavori alla soluzione tecnica la confusione aumenta, completata da episodi di mazzette che rappresentano l’aspetto più vistoso che ci solletica la pancia.
Nella città che cambia. Il selciato ha circa 300 anni, ma non sempre portati bene. L’ammaloramento deriva per prima cosa da una posa in opera raffazzonata e non fatta bene, per seconda dal tipo di traffico. Le malattie più frequenti sono le buche e l’aumento della distanza tra un blocchetto e l’altro, con eventuale sgretolamento dei bordi. La caratteristica del selciato era quella che i “serci” non fossero cementati ma solo posati su un letto di sabbia o pozzolana e poi battuti: questo conferisce elasticità e capacità di coesione e adattamento al fondo stradale. Ha anche il pregio di “lasciar respirare il terreno” grazie agli spazi tra un selcio e l’altro, e opera il drenaggio della pioggia e, nei tempi passati, della pipì dei cavalli delle carrozze e degli asini che passavano in città.
Oggi l’acqua piovana è smaltita dai tombini e spesso sopra le fughe tra un selcio e l’altro é stato passato un velo di catrame che copre fuga e testa del blocchetto e salta alla prima occasione. Il tipo di traffico è l’altra causa dell’ammaloramento del selciato: una superficie nata per modesti carichi verticali si trova sollecitata dai pesi enormi dei mezzi pubblici, degli autobus turistici, dei camion della nettezza urbana e di carico e scarico merci dei negozi, e da grandi spinte orizzontali nel caso di frenate.
Tra gli aspetti negativi, c’è sicuramente il fatto che il selciato presenta spesso una superficie poco regolare, quindi poco confortevole per i pedoni, specie alle donne con i tacchi, le carrozzine o i carrelli della spesa. Il traffico auto risulta molto rumoroso e anche i ciclisti e i motociclisti hanno da ridire perché bagnato, il selciato è scivoloso.
Sciogliamo il dilemma. E allora sanpietrini sì o no? Sì, in luoghi caratteristici del centro e in strade a traffico contenuto e velocità limitata. Sì, se studiati bene per dimensione, tessitura e posa in opera secondo il luogo di installazione. In certi tratti di strada, come nelle corsie tramviarie riservate di via di Porta Maggiore o in parti di piazza San Giovanni, il sanpietrino sta proprio bene. Non sta bene il suo uso indiscriminato in nome “del prima c’era”. Ebbene ora non c’è più. E non sta bene il riuso di sanpietrini sporchi di catrame o di vernice di segnaletica ante-demolizione.
Ma la scelta tra sanpietrini sì o no non è basata solo su argomenti tecnici ed economici, ci sono anche quelli politici. Dopo il maggio del ’68, quasi tutti i selciati di Parigi furono smantellati e sostituiti da manti di catrame. Anche se impropria, il “sercio” può essere usato come arma.
[BOX]
Una famiglia quadrata. Il “sercio” romano è il nipotino del basolato della strada degli antichi romani. Tutti i serci discendono dalle rocce effusive della provincia magmatica laziale dei Colli Albani; spesso a base di porfido e a base di basalto. Ma ha famiglia: il classico romano a forma di tronco di piramide a base quadrata di formato 12x12x18, la sua forma ridotta 10x10x16 che spesso si fa credere più grande, la forma piccola a cubetto di 6x6x6. I parenti poveri, quelli senza forma solo scaglie, breccole, sono in ferrovia a fare le massicciate ferroviarie.
I serci si distinguono anche per il disegno della loro posa in opera: possono disporsi in fila dritta per dritta o in diagonale o, più elegantemente, a coda di pavone ossia a ventaglio (ad arco contrastante), che scaricano sui lati le spinte dei carichi superficiali.
Carlo Di Carlo