Anche una piccola oasi naturale dà un grande contributo per la salubrità dell’aria che respiriamo
(Numero 5 – Bimestre gen-feb 2016 – Pagina 3)
Nel piano regolatore del 1883 piazza Manfredo Fanti appariva inserita in un sistema di spazi pubblici (piazza Guglielmo Pepe, piazza Vittorio Emanuele, piazza Dante) che alleggeriscono la fitta trama ortogonale del tessuto urbano umbertino. Ma un imprenditore lombardo, Pietro Carganico, propose al Comune la costruzione di un Acquario e uno stabilimento di piscicoltura, in sintonia con gli indirizzi di governo di Quintino Sella che voleva Roma come centro di ricerca scientifica. Ottiene in cambio la concessione gratuita dell’area, la fornitura di tutta l’acqua necessaria e la messa a dimora di piante e alberature. E così, l’ampio spazio della piazza veniva sottratto alla libera disponibilità dei cittadini. L’impresa dell’Acquario fallì in breve tempo e nel 1891 il Comune acquisì giardino e fabbricato.
Nel 1928 il giardino tornò all’uso pubblico, dopo un intervento di riqualificazione che, tra l’altro, eliminò la cancellata. Arrivando a giorni più vicini a noi, dal 2002 sia l’edificio che il giardino sono affidati in concessione comunale all’Ordine degli Architetti di Roma.
L’intervento della scorsa primavera. Da un censimento dell’aprile 1983, gli alberi nel giardino risultarono soprattutto lecci (quercusilex) e sofore (sophorajaponica) ma erano presenti anche palme, magnolie e un platano, un cedro e un tasso. Nell’aprile del 2015, però, vengono abbattuti il cedrus deodara, che ancora svettava nella lunga prospettiva della via Principe Amedeo e il taxus baccata. Le proteste degli abitanti e delle Associazioni convincono l’assessorato capitolino all’Ambiente a convocare un tavolo di lavoro dove cittadini, Associazioni, Servizio giardini e Acquario romano srl (la società che gestisce l’edificio e il giardino per conto dell’Ordine degli Architetti) possano discutere del futuro del giardino e di come mettere in sicurezza gli alberi senza abbatterli. Guardando la foto aerea della zona, infatti, appare immediata la percezione delle piazze dell’Esquilino come spazi verdi circondati da edifici, strade asfaltate e traffico invasivo. In questo contesto, i grandi alberi non costituiscono soltanto un elemento di qualità nel paesaggio urbano, ma rappresentano anche dei potenti alleati contro l’inquinamento. Le foglie infatti, con il processo fotosintetico, depurano l’aria assorbendo anidride carbonica (CO2) ed emettendo ossigeno (O2). Per questo motivo la perdita di un grande albero non è compensabile con la messa a dimora di un solo esemplare giovane. L’ipotesi di abbattere altri alberi (circa il 20% del totale) e di potare i rimanenti trova forte opposizione, mentre gli abitanti della piazza segnalano come i rami bassi degli alberi costituiscano una zona d’ombra per comportamenti illegali. Dopo diversi sopralluoghi, si concorda di non abbattere gli alberi ma di metterli in sicurezza monitorandoli nel tempo (più ecologico e meno costoso); di sfrondare al massimo un 25% di chioma, liberando la visuale della cancellata; di intervenire nei periodi indicati per le potature (per i lecci in estate); di mettere a dimora nuovi alberi per ogni abbattimento.
Sempre meno alberi, sempre più veicoli. Ma non tutto viene rispettato, occorre quindi impegnarci ancora per un vero giardino urbano, capace di fornire servizi eco sistemici all’intera piazza: mitigazione della temperatura, miglioramento della qualità dell’aria, abbattimento delle polveri sottili, zone di sosta e relax, ecc. Inoltre, parte del giardino è usato quotidianamente come parcheggio privato e questo, per un piccolo giardino, già circondato da edifici e strade, ne compromette la natura stessa di oasi naturale. Attualmente gli alberi del giardino sono 50. Dodici in meno rispetto al 1983 quando circolavano circa 1,8 milioni di veicoli (oggi ne circolano più del doppio). Quindi, il numero dei veicoli a Roma è aumentato di più del 100% mentre il numero degli alberi di piazza Fanti è diminuito quasi del 20%.
È tempo di cambiare. L’emergenza smog e le polveri sottili, il cambiamento climatico in atto richiedono un cambiamento di rotta, non solo nei consumi individuali (limitare l’uso dell’auto privata, privilegiare gli spostamenti a piedi o col mezzo pubblico), ma anche nell’uso del suolo pubblico. I pochi alberi che ancora resistono ai bordi delle strade, maltrattati e ristretti in spazi angusti, a poco a poco deperiscono e muoiono e non vengono sostituiti. E invece occorrerebbe piantare alberi, ridurre l’ampiezza delle carreggiate stradali, collegare con viali alberati i piccoli spazi verdi dei giardini. Camminare all’ombra degli alberi, da piazza Manfredo Fanti a piazza Dante, passando per il giardino di piazza Vittorio Emanuele, non deve essere un sogno ma l’idea di città amica degli abitanti. Oggi è tempo di cambiare. Si potrebbe cominciare dall’Esquilino.
Marina Fresa, Sonia Sabbadini