Dietro la stazione Termini c’è chi aiuta al reinserimento nella società
(Numero 5 – Bimestre gen-feb 2016 – Pagina 11)
“Senza fissa dimora. Qualcuno li chiama invisibili. Ma così ci si scarica di tutte le responsabilità. Perché si vedono eccome. Siamo noi a non volerli vedere”. Fabrizio Schedid è il coordinatore di Binario 95, il centro polivalente per homeless avia Marsala. Nelle sue parole l’entusiasmo di chi è fiero del proprio lavoro, nonostante le continue difficoltà.
Storie vere. Paolo ha lavorato 35 anni in Francia. Giorgio era cuoco e proprietario di diversi ristoranti. Franco era operaio in un’azienda del fotovoltaico in Argentina. Addirittura Cesare era un noto imprenditore romano, un tempo a capo di un impero nel mercato dei fiori. A questi nomi di pura fantasia corrispondono vicende che sono invece reali.
Il cielo a far da tetto. All’improvviso i fili dell’esistenza si rompono. Non è mai una scelta volontaria. Diversi fattori causano la condizione dei senzatetto, non solo quella economica e lavorativa, ma anche la salute psichica e fisica, le capacità relazionali e il contesto geografico-sociale. “La rete di Todd, dal nome del sociologo americano che l’ha ideata – spiega Schedid – rappresenta in modo grafico queste componenti. La persona è al centro di diversi punti di riferimento tutti intrecciati tra loro, la famiglia, la salute, il lavoro, l’istruzione. In una situazione estrema dovrebbero intervenire i servizi sociali perrecuperareciò che gli psicologi definiscono “resilienza”, la capacità di fronte ad un trauma di trovare dentro di sé le risorse per ridarsi slancio”.
Contrastare l’emarginazione. Binario 95 è un progetto della cooperativa Europe Consulting nato nel 2006, realizzato grazie al sostegno dell’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune e alla disponibilità di Ferrovie dello Stato che ha concesso in comodato d’uso i locali. Offre quattro servizi. Il primo accoglie dalle 9 alle 18 in media 25 persone per un periodo anche lungo perché il fine è il reinserimento nella società, quindi necessita di progettazione. Il secondo, dalle 8 alle 12 e dalle 14 alle 18, garantisce su prenotazione ristoro, riparo, doccia e lavanderia. I servizi diurni sono necessariamente divisi poiché non tutti sono pronti ad un percorso di autonomia. Quello notturno mette a disposizione dalle 21,30 alle 8 di mattina dieci posti letto convenzionati dal Comune, più due brandine di emergenza della cooperativa. L’ultimo, infine, è un progetto di reinserimento lavorativo e al tempo stesso di promozione sociale: la redazione del giornale Shaker.
Un ambiente familiare. Per i suoi utenti il centro è “come una famiglia”, non soltanto un luogo dove ripararsi. I bisogni materiali sono sempre impellenti ma il problema più grande resta l’isolamento dai rapporti sociali, l’incapacità di pensare al futuro e ritrovare la propria identità. Il rischio è che si riconosca in questo centro l’unica famiglia possibile. Tuttavia si è chiari fin dall’inizio, l’obiettivo finale è una vita fuori dalla struttura, non dentro.
Rinascere. Sono numerosi i casi in cui il centro è stato solo un punto di passaggio per rifarsi una vita. Colpisce la storia di un cameriere sardo che dopo gli studi all’istituto alberghiero aveva iniziato a lavorare all’estero. Tutto però è cambiato quando ha scoperto la sua omosessualità. La famiglia non l’ha più accettato causandogli forti traumi. Perso il lavoro,ha contratto l’Hiv. Dopo un percorso con Binario 95 ha ritrovato lavoro fuori dall’Italia e oggi può permettersi di fare donazioni al centro stesso.
Storia ancora più emblematica è quella di Daniele, uno dei redattori di Shaker, per la lucidità del racconto che egli stesso ne fa. L’unità mobile che lo aveva più volte soccorso lo descriveva come tutti i senzatetto: alcolista, con problemi psichiatrici, pericoloso. Oggi è un dipendente della cooperativa e per essa racconta la sua esperienza nelle scuole romane. Perché è parlando ai cittadini del domani che si può risvegliare una sensibilità sociale nei confronti di chi vive ai margini. Non sono invisibili. Siamo noi a dover aprire gli occhi.
Luca Mattei