Le misteriose epigrafi fatte incidere dal marchese sul portale ancora affascinano chi attraversa i giardini di piazza Vittorio
(Numero 9 – Bimestre nov-dic 2016 – Pagina 8)
Oggi villa Palombara, che faceva parte del sistema delle ville esquiline, non esiste più, demolita nei primi anni di Roma Capitale per far posto a piazza Vittorio Emanuele II. Di essa sopravvive soltanto la Porta magica che con il suo fascino misterioso ricorda ai contemporanei il marchese di Palombara, vissuto nella Roma barocca del Seicento, che volle fare della villa esquilina il luogo di incontro dei riformatori del suo tempo, forse collegati ad ambienti massoni che utilizzavano l’alchimia per iniziare gli adepti ai misteri dei Rosacroce, al loro misticismo ed occultismo.
La più misteriosa delle ville esquiline . Sorta nel XVI secolo per volontà dei Savelli, signori di Palombara, tra il 1667 ed il 1676, la villa era stata ristrutturata dal marchese Massimiliano Savelli Palombara, uno dei maggiori alchimisti del tempo, seguace delle teorie rosacrociane. Negli ultimi anni di vita il marchese avrebbe fatto inserire nel muro di cinta, lungo lo stradone di Santa Croce, una “picciola porta sulla strada, incontro a Sant’Eusebio”, la cosiddetta Porta Magica, decorata con segni cabalistici, simboli alchemici ed epigrafi in latino. In realtà la Porta doveva trovarsi in luogo riservato dentro la villa e soltanto successivamente fu posta all’esterno. Su di essa graffiti misteriosi che invitavano a varcarne la soglia, ad entrare nella “vigna” dove solo l’uomo “heroico” trova il grappolo che dà il “vino ermetico”; metafora per indicare la soglia da superare per accedere ad un più alto livello di purezza, a quello stato superiore simboleggiato dalla materia che si trasforma in oro per gli alchimisti. Secondo una tradizione, le incisioni rappresentano le formule per trasmutare in oro i metalli, elaborate da un giovane medico ed alchimista milanese, che il marchese di Palombara volle fare incidere nella pietra del portale, dopo che il medico, per sfuggire all’Inquisizione, era scappato nottetempo dalla villa abbandonandovi le pergamene con gli appunti delle sue ricerche. La villa, di oltre undici ettari, si sviluppava da nord a sud, parte in piano e parte in leggera pendenza verso la via Labicana, estendendosi tra via di Santa Croce in Gerusalemme e via di San Matteo, l’antica via Merulana. La parte alta, pianeggiante, era la villa vera e propria, mentre la parte bassa verso via Labicana era costituita dagli ortivi a conduzione rurale. L’ingresso principale si attestava sulla via di Santa Croce, la strada Felice voluta da Sisto V. Un lunghissimo viale di accesso, tra viti a filari, piante di carciofi ed alberi da frutto – albicocchi, meli, peschi e fichi – conduceva al piazzale centrale su cui si affacciava il Casino nobile accanto al giardino segreto, organizzato come hortusconclusus, luogo degli eletti. Agli inizi dell’Ottocento la villa, per volontà della marchesa Sarzia Gabrielli Palombara, passa in eredità alla figlia Barbara, sposa del marchese Francesco Massimo e dopo ulteriori passaggi ereditari, arriva al principe Camillo Massimo, ultimo proprietario prima dell’esproprio da parte del Comune, nel 1873, per la costruzione del Nuovo Quartiere Esquilino.
La Porta Magica nel giardino di piazza Vittorio. Demolita la villa per far posto a piazza Vittorio Emanuele e al nuovo quartiere, soltanto la Porta Magica è riuscita a mantenersi indenne. Scomposta in vari pezzi fu in un primo tempo conservata nei depositi comunali per essere poi ricomposta nel 1888 nel giardino della piazza, in un muro di terra e tufo accanto ai Trofei di Mario, come una semplice cornice in pietra calcarea, priva di battenti ma sormontata dal fregio circolare in marmo dei Rosacroce e protetta sui lati dai grandi nani mostruosi, due statue del dio egizio Bes, provenienti dagli sterri del Quirinale.
Bruciare con l’acqua e lavare col fuoco. Da allora generazioni di romani, in visita al giardino, sono affascinati dal magico mistero della Porta con le strane epigrafi. Ed il fascino permane anche se studi scientifici recenti ne hanno prosaicamente svelato, al di là di qualsiasi enigmatica interpretazione, il loro vero significato: procedimenti concepiti dall’alchimia che combinando sperimentalmente elementi di scienza e astrologia, medicina e religione, pone le basi per la nascita della chimica moderna. Sotto il simbolo di Saturno, su uno stipite, troviamo “I corvi neri che partoriscono bianche colombe” che più che concetti mistici di pura speculazione rappresentano concreti esperimenti chimici. Indicano la nera galena, minerale di solfuro di piombo che calcinandosi si trasforma in ossido di piombo che con il biossido di carbonio genera il carbonato basico di bianco piombo. Sotto il simbolo di Marte, l’epigrafe “Bruciare con l’acqua e lavare col fuoco” non sta ad indicare un arcano paradosso ma il processo metallurgico di trasformazione del minerale in puro ferro metallico: ridotto in polvere e miscelato con carbone di legna, la combustione è alimentata da getti d’aria generati dall’acqua in caduta libera, si purifica col fuoco che ne bruciai residui di carbone.
Carmelo G. Severino