Fritti, soffritti e spezie in appartamenti e ristoranti. Ma attenzione alle molestie olfattive.
(Numero 14 – Bimestre lug-ago 2017 – Pagina 2)
Anche quest’anno, d’estate fa caldo. E allora, specie di sera, all’imbrunire, apriamo le finestre e speriamo che entri un po’ di ponentino. L’Esquilino è uno dei punti più alti di Roma, se la batte con il Gianicolo, e il ponentino una volta c’era, ma ora con il tanto costruito, non c’è più. Per abitudine e speranza di fresco si aprono le finestre, ma da qui entrano in casa tante cose non desiderabili: mosche e zanzare, rumori di strada e di tv accese, e anche tante puzze. Oggi le chiamiamo maleodoranze, ma sempre puzze sono.
Misurazioni “a naso”. I ricettori dell’olfatto sono molto sensibili anche nell’uomo, oltre che nei cani e in tanti altri animali. Poche molecole di certe sostanze, specie organiche, bastano a darci sensazioni gradevoli o sgradevoli. E spesso le sensazioni odorose evocano ricordi di persone, di situazioni o di cibi che aumentano la nostra sensibilità.
La valutazione di una puzza, ma anche odore, aroma o profumo, in mancanza di valutazioni oggettive, viene fatta ancora “a naso”, ossia invitando un certo numero di persone a valutare le sensazioni odorose. Si stanno facendo progressi per avere scale di misura oggettive, ma i sensori disponibili, i cosiddetti nasi artificiali, sono in generale sensibili solo a certe sostanze. Per esempio, un naso artificiale può valutare il grado di maturazione della frutta, e allora trova applicazione nell’indirizzare i camion che la trasportano a un mercato più vicino o più lontano in funzione della sua deperibilità; un naso artificiale per il formaggio aiuta a valutare origini geografiche e organiche del campione.
Andando a naso, però, è difficile definire le responsabilità di chi “puzza”. E non si tratta solo della puzza dei cassonetti non lavati, delle discariche legali o abusive, dei fumi di incendi e abbruciamenti, ma anche di quella fonte di tanti litigi fra condòmini per emissioni di fumi o odori molesti di cucine che abbondano di fritti, soffritti e spezie in appartamenti e ristoranti.
Molestie olfattive. Ai primi di aprile del 2017, la Corte di Cassazione ha confermato una condanna per “molestie olfattive”, un nuovo reato che rientra nell’ambito del “getto pericoloso di cose” e in quello di inquinamento. Le “molestie olfattive”, ammesso che danneggino qualcuno, sono soggette ad un risarcimento che può aggirarsi sui 1.000-1.500 euro se prodotte da abitazioni, un po’ di più se prodotte da ristoranti. Ma è difficile che un perito del tribunale stia fuori della porta della fonte odorosa, ne valuti il livello e dichiari che è superiore alla soglia di sopportabilità.
Un precedente del ‘500. In realtà l’emissione di puzze non è un reato nuovo. Il giorno 11 del luglio 1567, papa Gregorio XIII Boncompagni emette un “Bando circa il tenere Roma netta dalli fracidumi” che così dispone: “Essendo cosa necessaria per la conservazione della sanità e per mantenere l’aere purgato, et incorrotto levare per quanto si può tutte le cose che possono portar fetore, et massimamente nel tempo dell’estate, et essendosi visto per esperienza che il pesce che è portato a vendere a Roma è non solamente stantivo, ma molte volte fradicio […], l’illustrissimi Signori Conservatori et Signori deputati della sanità, ordinano et commandano che da hora et per tutto il mese di settembre prossimo non sia alcuno che ardisca portare o far portare vendendo per Roma pesce di qual si voglia sorte sotto pena (oltra la perdita di detto pesce) di XXV scudi et di tre tratti di corda”. Il bando prevede inoltre: “che niun Pizzicarolo possa tener nelle lor botteghe alcuna cosa fracida, come tonina, alici, et simil cose, sotto la pena sopradetta […], sotto le medesime pene si ordina e commanda à tutti e singoli Pollaioli che non debbiano tener le loro spazzature in strada, ne meno in casa […], à tutti Herbaroli che non buttino in strada acqua ne erbe fracide […], et simile si comanda alli Fruttarroli, et Mellonari delli frutti, et melloni fracidi”, e ancora “tutti et singoli Macellari non debbiano tenere, ne sotto alle lor banche, ne innanzi alli lor macelli corna de bestie, stinchi, ne ossi, ne teste ne bruttura alcuna”. La pena è la stessa: tre tratti di corda e scudi 50, “della qual pena pecuniaria un terzo se ne darà all’esecutore et li dua terzi se applicheranno per tener netta Roma di brutture.” (Bando raccolto da A.M. Corbo e pubblicato da Edilizio, via Taranto 178, nel luglio 2007)
Puzze e profumi. In tempi più recenti, invece di eliminare le cause delle puzze (scusate, maleodoranze) si è preferito ricoprirle o mascherarle. Le ultime maschere sono i deodoranti. Che però vanno usati con attenzione. Quando qualche anno fa si fece l’impianto per il condizionamento dell’aria all’interno della Camera dei Deputati, le prese d’aria fresca furono messe sul tetto di Montecitorio. Ma dai tetti vicini sbucavano i comignoli dei ristoranti della zona e verso l’ora di pranzo l’Aula era invasa dagli odori delle cucine. Agli onorevoli deputati veniva l’acquolina in bocca e una vera fame che li costringeva ad abbandonare i lavori per andare a pranzo.
A questo deprecabile fatto, fu posto rimedio mettendo un inserviente in corrispondenza delle prese d’aria che, a seconda da dove spirava il vento, versava sui filtri mestolate di profumi coprenti: profumo concentrato di geranio o di garofano. E a questo punto i nostri deputati si riconoscevano a naso.
Carlo Di Carlo