La scrittrice parla dei suoi libri in cui dimensione individuale e storica sono intrecciate
(Numero 17 – Bimestre gen-feb 2018 – Pagina 6)
Francesca Melandri è nata e cresciuta a Roma, città in cui è tornata dopo una parentesi di più di vent’anni vissuti in giro per il mondo, “Con i figli ormai adolescenti, ho deciso di tornare a Roma, volevo farli crescere in una grande città per far loro gustare l’atmosfera di una metropoli. Così ho scelto Esquilino, unico quartiere centrale multietnico di Roma. Quasi simile ad una grande capitale europea. Per me è stata una scelta venire qua; anche perché i miei figli, essendo cresciuti nel Sud Tirolo sono bilingue, italiana e tedesca. Ho pensato che se qui c’era posto per i bengalesi, nigeriani e cinesi, ci sarebbe stato posto anche per i miei figli sudtirolesi. Inoltre Esquilino è un rione comodissimo, ben collegato. Da quando abito qui, 11 anni, ho dato via la macchina e non ne sento assolutamente la mancanza”.
Il rione ti sembra cambiato in questi anni?
Mi piace sempre molto. Il problema è che è cambiata Roma, purtroppo, più che Esquilino. E non è cambiata in meglio. In questi anni c’è stata una perdita di ricchezza culturale e progettuale. Il crescente degrado istituzionale, che viene dall’alto, provoca un deterioramento della qualità della vita. Quando usciamo da casa e troviamo quintali di mondezza fuori dai cassonetti… Certo poi il cittadino romano è quello che è, molti approfittano di questa situazione per non rispettare le regole, ma il ruolo delle istituzioni non è quello di avere a che fare con cittadini perfetti, ma è proprio quello di creare ambienti e territori in cui le persone siano incentivate ad avere comportamenti virtuosi! Per fortuna ci sono molti cittadini, che io definirei “eroici”, che fanno molto per arginare questa situazione. Energie bellissime e vivissime, dalle associazioni come il comitato di piazza Vittorio, alle biblioteche, alle librerie, e molto altro.
Come incide sul rione la forte presenza dei migranti?
Per me il problema non sono i migranti. Il fenomeno della migrazione è un fatto con cui l’Occidente si deve confrontare. Il problema sono le istituzioni. Anche a livello di Comune, l’unica cosa che la Raggi ha saputo fare da quando è sindaca, è stata sgomberare due o tre volte il Centro Baobab senza trovare una soluzione alternativa. Hanno buttato sulla strada cittadini migranti, per lo più richiedenti asilo, che hanno tutto il diritto di rimanere qui e vivere in modo dignitoso.
Nei tuoi libri scrivi di vicende storiche che riguardano il nostro Paese ma in questi contesti crei e descrivi soprattutto personaggi, con i loro sentimenti e le loro relazioni. Da cosa parte la prima ispirazione?
Possiamo considerare i miei primi libri come una trilogia che finisce con “Sangue giusto”. Ho ideato i tre romanzi tutti insieme, i titoli e le idee narrative: la figlia putativa che cerca il Padre in “Eva dorme”, padre e moglie che si incontrano mentre vanno a trovare i propri cari detenuti all’Asinara in “Più alto del mare”, e la figlia che va a ritroso nella vita del padre in “Sangue giusto”. Nella mia testa questa trilogia è una riflessione complessiva sullo stato psichico del nostro Paese perché, secondo me, gli avvenimenti storici e le vicende dei miei personaggi, pur avendo scale diverse, hanno le stesse strutture psichiche: il sud Tirolo è orfano di Patria come la protagonista Eva che è orfana di padre. In “Sangue giusto” il personaggio Attilio Profeti rappresenta la rimozione individuale del suo essere stato fascista, così come gli italiani dopo la caduta del regime hanno effettuato la stessa rimozione collettiva del fascismo, delle leggi razziali e del brutale colonialismo. L’Italia non ha mai fatto un lavoro critico sugli avvenimenti dell’Epoca, non ha riconosciuto le proprie colpe e i propri errori. In tal modo ha permesso a tanta parte di italiani di non ricordare, come ha fatto il protagonista del libro.
I tuoi romanzi spesso si muovono avanti e indietro nel tempo. A cosa è dovuta questa modalità di scrittura?
La struttura dei miei libri è molto forte, un intrecciarsi di tempo e spazio come in “Eva dorme” o di tempi diversi come in “Sangue giusto”. In questo ultimo, per esempio, mentre il presente narrativo è la visita di Gheddafi a Roma nell’agosto del 2010, il romanzo si srotola all’indietro fino alle colonie di Etiopia e al fascismo, ma anche agli anni ’80 della Cooperazione italiana o agli anni ’50 dei palazzinari romani. Così la protagonista si riappropria del passato del padre, scavando e tornando indietro nel tempo. In fondo la mia intuizione è che è più facile capire la vita di un essere umano ripercorrendola indietro nel tempo e vedendo tutti i bivi che non si sono presi e le infinite possibilità che non hanno avuto luogo, piuttosto che percorrerla in modo cronologico. Tutte le volte Profeti sceglie di non vedere, mostrandosi incapace di prendere il bivio giusto, anche se queste scelte non hanno mai nel libro una connotazione morale.
Maria Grazia Sentinelli