Mattia Carratello, musicista ed editor della casa editrice Sellerio, parla del suo rapporto con il rione
(Numero 18 – Bimestre mar-apr 2018 – Pagina 6)
Incontro Mattia all’uscita del cinema Apollo 11, dove è appena stato proiettato il documentario di Abel Ferrara ‘Piazza Vittorio’. Anche nella nostra intervista si parlerà delle immagini, le storie, le atmosfere, le speranze dell’Esquilino di oggi.
Più di trenta anni fa, hai scelto di vivere in questo rione. Perché?
Per me l’Esquilino è tra i quartieri più ‘urbani’, della città. Credo che il suo fascino e i suoi problemi, derivino da questo. Traffico implacabile e densità culturale, povertà disperante, disperata, e sfacciata ricchezza storica e artistica, apertura sul futuro e anima nostalgica se non passatista. È un rione che rappresenta il fallimento di Roma come metropoli, e insieme una speranza, o meglio una scommessa. L’Esquilino in questo momento ha aspetti sconcertanti, capannelli di maschi in preda all’alcool, criminalità, disagio sociale senza alcuna risposta, ‘vigilantes’ di dubbie associazioni che pretendono di controllare il territorio, formazioni politiche con una visione aberrante: sono gli elementi classici di una fallimentare gestione urbana. In questo senso è lo specchio fedele dell’intera città e sempre lo è stato. Venti anni fa c’era il mercato attorno al giardino, c’erano altri immigrati, altri romani, altre politiche, ma non credo fosse migliore. Il rione per me è il principale laboratorio urbano e sociale della città, ed è qui che bisogna provare a fare qualcosa di nuovo. Rispetto all’energia, alla complessità, alla tensione dell’Esquilino, molti altri quartieri di Roma, magari più sicuri, curati, puliti, presentabili, mi sembrano degli appisolati paesotti di provincia.
La prospettata linea tranviaria tra piazza Vittorio e via dei Fori Imperiali servirà a migliorare la zona? Oppure è un intervento che non tiene conto dell’insieme del rione?
La linea tranviaria, credo, potrebbe essere un’opera importante e mi piacerebbe vederla avviata, anche se lo scetticismo sull’effettiva realizzazione è molto forte. La città ha un bisogno disperato di trasporto pubblico. Poche metropoli al mondo insultano quotidianamente i cittadini e i visitatori come Roma, dove nel 2017 c’è stata una presenza turistica di 35 milioni di persone, e non è neppure un dato particolarmente buono considerato il potenziale della città. Anzi, non credo si possa neppure parlare propriamente di ‘città’ per un luogo che costringe gli abitanti a usare la macchina o gli scooter per andare al lavoro o a scuola. Fatico a immaginare lo sconcerto di chi la visita la prima volta e scopre il nostro servizio pubblico dei trasposti. È importante che l’Esquilino sia luogo di contatto tra centro e periferia, tra i Fori romani, l’antico, e la Prenestina, la Casilina, zone in radicale trasformazione, che sono il presente e il futuro della città.
Piazza Vittorio e il giardino potranno tornare ad essere luogo di incontro e di socialità, per i giochi dei bimbi, le piccole gare di basket degli adolescenti, i primi incontri dei ragazzetti e delle ragazzette, la lettura del giornale per gli anziani, insomma, per i cittadini di tutte le età?
Credo sia questa la vera vocazione dell’Esquilino, proprio per la natura profondamente urbana di cui parlavo. Socialità, incontro, confronto, ricchezza culturale, questa è l’anima della zona, la sua vera risorsa, e qui per me risiede la scommessa da affrontare per andare verso quella che in modo estremamente retorico viene chiamata ‘rinascita’ dell’Esquilino. Il rione per me contiene uno sguardo che va ben oltre i suoi confini, da qui si possono scrutare l’Asia, l’Africa, l’Europa dell’Est. Qui alle scuole elementari trovo bambine cinesi, ragazzini indiani, rumeni, albanesi, che possono assimilare visioni e culture, scoprire una nuova musica, nuove lingue, religioni diverse. Se questa possibilità fallisce, e i rischi ci sono, siamo condannati all’obsolescenza, come città, come romani, come italiani. Insomma, vorrei che trovassimo il coraggio di immaginare e costruire il futuro a partire da queste strade.
Pensi che l’abbandono da parte delle istituzioni, come i vigili che non fanno contravvenzioni ai camioncini in tripla fila o a chi sporca; l’Ama che non funziona; il Servizio Giardini che ha abbandonato il verde a sé stesso; i progetti di riqualificazione che non vedono realizzazione, provochi una intolleranza che finisce per sfogarsi anche nei confronti degli extracomunitari?
Sono d’accordo, e penso che gli interventi nel giardino, sotto i portici e in tutte le strade vicine, non avranno successo se non inseriti in un progetto istituzionale e con l’appoggio di tutti i cittadini.
Paola Romagna