Lo scrittore, vincitore del Premio Strega 2014 e sceneggiatore per i più noti registi come Nanni Moretti e Paolo Virzì, ci parla del suo lavoro e del rapporto che ha instaurato con il rione
(Numero 20 – Bimestre lug-ago 2018 – Pagina 5)
Incontriamo Francesco Piccolo nel bell’atrio di Palazzo Merulana, da poco restituito alla fruibilità del rione grazie al mecenatismo dei coniugi Cerasi che hanno traferito qui la loro interessante collezione di famiglia. Dopo un veloce saluto cominciamo l’intervista.
Ne “Il desiderio di essere come tutti”, libro vincitore del Premio Strega 2014, lei descrive la fatica che a volte si prova ad essere diversi. Si riferiva soprattutto al suo essere di sinistra. Ora, in tempi di diffusi e crescenti populismi, riscriverebbe la stessa cosa?
Assolutamente sì perché in quel libro, l’idea della diversità che era ? come diceva Berlinguer negli ultimi anni o anche Pasolini ? quella di “essere un’Italia bella dentro un’Italia brutta” viene messa in discussione. Questa idea dei recinti secondo me non funziona. Credere di essere sempre i migliori, quelli che hanno un pensiero giusto e le soluzioni giuste, porta a diventare impermeabili al mondo. Quello che sta succedendo oggi è proprio la conseguenza di questo atteggiamento. Credo invece che sia fondamentale la curiosità, la comprensione degli altri, il tentativo di capire chi sono le altre persone, come per esempio quelli che hanno votato o sono stati eletti nelle ultime elezioni. Soprattutto un intellettuale deve essere capace di includere e non di escludere, anche se quelle idee le condividi poco o non le condividi per nulla. È molto piacevole stare a cena con gli amici che la pensano come te, ma bisognerebbe andare a cena anche con persone che ti raccontano una cosa che non capisci.
Questa accettazione della diversità come la declina rispetto al fenomeno dell’immigrazione?
Fatemi dire che è evidente che in queste ultime elezioni l’Italia ha scelto di votare quei partiti che hanno raccontato una stanchezza rispetto alla situazione attuale, ed è incredibile come questa sensibilità la sinistra non l’abbia avuta. Quando vede, ad esempio ad Esquilino, le vecchiette che hanno paura dei neri, la sinistra dice solo che la vecchietta non deve avere paura, ma non le dà nessuna soluzione. C’è qualcuno che l’ascolta? È necessario imparare ad ascoltare: sia i migranti, sia chi ha paura dei migranti. Occorre una politica attiva che non sia quella di mandare tutti a casa o di accogliere tutti, ma che riesca a trovare una regolamentazione che vada incontro ai bisogni che sembrano a volte contrapposti. Molta sinistra si è sollevata contro Minniti, ma forse il suo era un tentativo in questo senso.
Lei è un autore poliedrico e anche molto prolifico, scrittore, sceneggiatore di cinema e televisione. Ha lavorato con importanti registi da Moretti a Virzì, ad Archibugi. C’è una di queste attività che preferisce, che le piace di più?
Io non concepisco questi lavori come separati. Scrivere libri significa stare da soli in un posto, concentrarsi anche per più anni. Scrivere film presuppone invece un lavoro con un regista. Scrivere per la televisione comporta addirittura lavorare con molte persone. Per ogni tipo di scrittura io metto in atto tecniche diverse che non sono però separate tra di loro; è un modo aperto e curioso di usare tutti i mezzi che questo mestiere ti offre. In quanto all’organizzazione del lavoro, certo è faticoso ma anche molto stimolante passare da una cosa all’altra. Io lavoro moltissimo e sono appassionato del mio lavoro e passare in una stessa giornata da un lavoro all’altro ti mantiene vivo e la testa viene rigenerata.
Veniamo ad Esquilino. Come ha sicuramente letto, in questi ultimi tempi molti articoli di giornale hanno presentato il nostro rione come uno dei più degradati di tutta Roma. Di contro, molti cittadini ne evidenziano la dinamicità, la vivacità, la ricchezza di iniziative culturali e sociali. Qual è il suo pensiero su ciò?
Credo che all’Esquilino ci siano entrambi questi aspetti. È un rione che amo molto, a cui sono legatissimo, dove abito da 20 anni. Purtroppo lo trovo peggiorato. Fino a qualche anno fa non avevo paura per mia figlia adolescente quando tornava a casa la sera. Ora mi preoccupo di più. Penso che Esquilino, pur nella vivacità della sua multietnicità, sia un quartiere molto particolare: le tensioni che si vivono qui è come se fossero più visibili di quelle di tutta la città, è come se fosse un termometro del paese e questo lo rende molto interessante. È un posto in cui c’è molto degrado con l’immondizia che ci sommerge, ma nello stesso tempo è un rione vivace dove abitano tanti intellettuali, artisti, professionisti, dove la sera non c’è niente, ma in cui stanno sorgendo molte cose interessanti, posti meravigliosi come per esempio questo Palazzo Merulana, aperto da poco. Non è quindi giusto dire che è una cosa o l’altra. Questo è solo un atteggiamento di difesa o di attacco. Io amo questo rione e non me ne andrei mai, quindi me ne prendo carico, sia con le cose buone che con quelle cattive. Sento più tensione di prima, ma anche più vitalità e forse questa vitalità nasce proprio da questa tensione. E questo mi rende fiducioso sul suo futuro.
Maria Grazia Sentinelli