Il biscottificio di Via Carlo Botta è aperto dal 1906. Oggi il negozio è poco frequentato da turisti e avventori di passaggio. La sua forza sono i clienti affezionati e gli alunni della vicina scuola
(Numero 21 – Bimestre nov-dic 2018 – Pagina 5)
Il bancone ad elle, gli scaffali di legno dietro, incastonati da cornici retrò. Le scatole di latta, i vecchi arnesi nelle teche in basso. Il laboratorio si scorge in fondo, al banco c’è Daniela, che confeziona dei biscotti rosa a forma di numero uno per il compleanno di una piccola cliente. Luca Cipriani ci accoglie nel suo “regno” ai margini di Colle Oppio, ereditato dal papà Piero e dallo zio Federico, entrambi in pensione. L’azienda di famiglia, in via Carlo Botta, è un biscottificio aperto dal 1906, quando il fondatore, Pietro, arrivò dall’Umbria, da Norcia. “Anche se all’inizio l’attività era in via Angelo Poliziano”, precisa Luca che tra le quattro mura del negozio si può dire sia nato e cresciuto. “Papà era sempre qui. A casa non l’ho quasi mai visto. Zio Federico era bravo nella produzione mentre mio padre più adatto alla rappresentanza”. Quanto ai nonni, Luca ne ha solo sentito parlare in casa: “Mi raccontano come Amleto, mio nonno, fosse una persona autorevole e generosa. Durante la guerra aiutava le famiglie in difficoltà, anche alcuni ebrei”.
Quando De Sica girò. Il negozio con il tempo è cambiato. Il retrobottega, per esempio, nei decenni passati comprendeva il locale accanto, oggi è sede di una scuola di cinema. Forse era destino che quel laboratorio trovasse tale destinazione, visto che nel 1964, Vittorio De Sica lo scelse per girare una scena del film “Matrimonio all’italiana” con Sophia Loren e Marcello Mastroianni. Nella pellicola, la Loren, nei panni di Filomena Marturano, fa mangiare a due dei tre figli le pastarelle. “Allora il laboratorio produceva anche quelle – ricorda Cipriani – . Eravamo in pieno boom economico e le paste andavano via velocemente. Oggi non facciamo torte fresche, tranne su ordinazione – aggiunge – . Per scelta non abbiamo frigoriferi da esposizione perché rovinerebbero l’arredo del negozio”.
Ricette storiche. La produzione di biscotti è rimasta quasi la stessa negli anni così come il locale. “É mio padre che ha disegnato e impostato il negozio così come lo vedete oggi”, racconta Luca. Le ricette sono rimaste le stesse. “Abbiamo variato leggermente l’offerta inserendo ogni anno un tipo di biscotto nuovo. Comunque – assicura – i classici di successo rimangono”. Come le colombine, piccole frolle spolverate di zucchero a velo, sfornate per la prima volta da papà Piero in occasione di una Pasqua di tanti anni fa e destinate a incontrare il favore dei clienti tanto da essere nella lista delle prelibatezze tutto l’anno. “Negli anni, abbiamo aggiunto delle ricette nuove per andare incontro a particolari richieste dei clienti, come i cookies, i tradizionali biscotti americani”.
Affezionati. La piccola bottega è entrata nel cuore di tante generazioni ormai. All’uscita della scuola elementare, la “Ruggero Bonghi”, proprio dietro l’angolo, i bambini sognano come meta la vetrina di Cipriani. “Il pomeriggio – racconta Luca – il negozio si riempie di ragazzi per la merenda. Sulla lavagna disegnano e si lasciano messaggi fra loro”. Durante il resto della giornata i clienti sono per lo più gli anziani, i loro figli e nipoti che abitano nella zona. “Tutti acquistano sempre gli stessi biscotti da sempre. Non c’è nemmeno bisogno che chiedano. Alcuni hanno dei gusti particolari – ricorda – come quel signore che voleva i biscotti bruciati, altri che pretendono al contrario i ciambelloni quasi crudi. Un altro poi compra da anni esattamente 26 biscotti, una metà chiari, un’altra scuri. Lo fa da sempre. Dice di accoppiarli poi a casa per fare colazione”.
Un rione diverso. La zona dove insiste il biscottificio è “morta e abbandonata”, come dice Luca Cipriani. Ed è difficile dargli torto perché esclusa la sua bottega, pochi altri negozi popolano le vie limitrofe. Resistono sempre le stesse insegne da decenni e, ancora una volta, ha ragione Luca che spiega come la sua attività sia aperta grazie ai clienti abituali. “Quelli di passaggio sono pochi – precisa – , i turisti non passano di qua”. Secondo il pasticciere la ragione è dovuta anche all’incuria in cui versa il Colle Oppio, che allontana la gente. Luca non nasconde una nota di pessimismo sul futuro: “Ci sono nato dentro questo negozio. Quando ero piccolo andavo a giocare da solo ai giardini del parco, ma ora mi rendo conto sarebbe impossibile per la quantità di sporcizia e delinquenti”. Per tirare su la serranda “faccio dei sacrifici enormi fra tasse e spese. La crisi ci ha colpito profondamente. Non c’è più lo spirito di un tempo. Se mia figlia non vorrà proseguire lo capirò, anzi, sarò felice se vorrà fuggire dall’altra parte del mondo. Se potrò la seguirò, aprendo magari una filiale oltre oceano”.
M. Elisabetta Gramolini