Dalle migrazioni interne ai migranti stranieri: il rione ha sempre avuto una vocazione all’accoglienza
(Numero 23 – Bimestre gen-feb 2019 – Pagina 7)
Roma è stata interessata, a partire dal 1870, da un consistente fenomeno di migrazione interna che ha comportato mutamenti apprezzabili nella composizione della popolazione, modificandone in profondità costumi e comportamenti socio-culturali. Tra l’altro, è venuto meno quel caratteristico alto “tasso di mascolinità” che da sempre aveva rappresentato un dato strutturale della sua demografia, come conseguenza della forte presenza in città di servitori, militari e religiosi. È stato un flusso migratorio costante e continuo che ha portato la popolazione, nonostante gli iniziali alti tassi di mortalità, dai 213.622 abitanti residenti del 1871, al poco più di un milione del 1931 fino ai 2.872.800 dei nostri giorni.
Roma pontificia. Alla vigilia dei fatti di Porta Pia, la popolazione romana era costituita per lo più da una moltitudine “dalle improvvisate occupazioni”, con una borghesia non numerosa ma “economicamente ben provveduta” – proprietari terrieri, mercanti di campagna e rappresentanti delle professioni liberali – legata alle due classi dominanti: l’alto clero e l’aristocrazia. Quest’ultima, caratterizzata “dalla grande ricchezza terriera”, era però in fase di lento declino dagli inizi dell’Ottocento, con sempre minor peso nella curia romana e marginale nella gestione del potere ecclesiastico.
La città burocratica. Conquistata Roma alla causa nazionale con il ruolo di città capitale, gli interessi delle classi dirigenti risorgimentali impongono di non farne un polo industriale, anche per evitare un proletariato considerato sconveniente “accanto al governo, al papa, al re”. Roma diventa quindi la città dei ministeri ed un grande mercato di consumo per le industrie del Nord. E per “provvedere prontamente all’ingrandimento del caseggiato urbano” e dare alloggio a “tutte le famiglie (…) che col trasporto della capitale” si sarebbero trasferite a Roma, già il 10 novembre 1870 viene proposto di estendere l’abitato sul versante orientale della città “nei contorni della stazione ferroviaria presso le Terme di Diocleziano”.
La Terza Roma nasce esquilina. A partire dal 1872 si comincia a costruire sui colli dell’Esquilino un nuovo quartiere per 35 mila abitanti. Oggi è possibile conoscerne la composizione della popolazione grazie agli ‘Stati d’anime’ compilati dai parroci: il censimento fatto nella Pasqua del 1881 prende in considerazione i residenti in piazza di Santa Maria Maggiore, via Gioberti, viale Principessa Margherita (attuale via Giolitti), via D’Azeglio, via Mazzini (attuale via Cattaneo), piazza Manfredo Fanti, via Cavour, via Principe Amedeo, via Manin, via Farini, via del Viminale, via Balbo, via Principe Umberto e via dell’Esquilino.
La zona censita risulta già discretamente popolata pur con diversi alloggi ancora disabitati – interi piani in qualche fabbricato. Più in particolare, in via Carlo Alberto, negli isolati tra piazza Vittorio Emanuele II, via Rattazzi e via Mazzini (attuale via Cattaneo), tra gli abitanti che dichiarano una condizione lavorativa sono numerosi gli impiegati, oltre il 41%, e, di questi, più della metà lavorano presso il ministero delle Finanze e la Corte dei Conti, in quegli anni in via Venti Settembre. Due corpi scala, in via Carlo Alberto 24 e 26 sono abitati esclusivamente da impiegati del ministero delle Finanze. Nei fabbricati di via Gioberti 10-30 gli impiegati statali sono la componente maggioritaria (anche in questo caso Finanze e Corte dei Conti). Per il resto, la popolazione che risiede all’Esquilino risulta socialmente composita, formata da artigiani, piccoli borghesi, musicisti, qualche sacerdote, alcuni militari ed anche un deputato, il lombardo Francesco Cagnola, appartenente alla Sinistra storica. Nel lato opposto della stessa via Gioberti, invece, ai numeri civici dispari, sono occupate solo le botteghe del pianoterra – un muratore al n.19, un pizzicagnolo di Norcia e la sua famiglia al n.27, due calzolai e le loro famiglie, al n.41 proveniente da Cagli e al n.35 proveniente da Velletri. A piazza Manfredo Fanti, invece, nell’unico palazzo già ultimato, al civico n.8, vi sono soltanto ventisette abitanti perché cinque degli appartamenti sono ancora sfitti: un pittore decoratore, un domestico ed il portiere con la moglie sarta al pianoterra, un professore di inglese all’ammezzato, le famiglie di un impiegato del ministero della Guerra e di un muratore al II e IV piano. La maggior parte dei nuovi abitanti – pochi i romani – proviene da città centrosettentrionali: da Firenze, per lo più ma anche da Parma, Torino, Milano, Como e Mantova, e qualche famiglia proviene anche da città meridionali (Napoli e Palermo).
Dalle migrazioni interne ai migranti stranieri. Nei decenni che seguono diverse decine di migliaia di nuovi abitanti si insedieranno nel rione che diventerà uno dei più popolosi della città. Inizialmente, è il ruolo di città capitale assunto da Roma, e la presenza dei ministeri, ad attivare un sostenuto flusso migratorio interno; successivamente, sarà il divario territoriale che caratterizza la modernizzazione italiana – con disparità nello sviluppo e “squilibrio” nella distribuzione della ricchezza – ad attrarre nuovi migranti provenienti da tutte le regioni italiane, soprattutto da quelle meridionali. Ed oggi, che i migranti stranieri hanno sostituito le migrazioni interne, l’Esquilino multietnico e multiculturale si ritrova ad essere alla ricerca di un processo di integrazione sociale e culturale in grado di trasformare il problema migranti in una opportunità di rivitalizzazione territoriale.
Carmelo G. Severino