L’obiettivo del nuovo centro non è solo offrire un posto letto, ma garantire una dignità di accoglienza
(Numero 24 – Bimestre mar-apr 2019 – Pagina 4)
La situazione delle persone senza fissa dimora a Roma è drammatica. Secondo gli ultimi dati del sistema informativo di Roma Capitale sono state oltre 16.000 le persone che si sono rivolte nell’ultimo anno ai centri operativi del Comune per trovare un’alternativa notturna alla strada. Di queste, circa 6.000 hanno fatto riferimento al circuito dell’Ufficio immigrazione, mentre circa 12.000 si sono rivolte all’help-desk della Sala Operativa Sociale (il numero totale è un po’ sopravalutato a causa della sovrapposizione di alcuni utenti che si rivolgono ai diversi centri). A fronte di ciò, 2.300 posti letto sono offerti dal circuito immigrazione, mentre circa 1.000 posti letto sono quelli predisposti dai centri di accoglienza dell’help-desk sociale. La richiesta supera di gran lunga l’offerta, soprattutto nei periodi di freddo intenso, quando l’alternativa alla strada diventa più pressante.
L’apertura di un nuovo centro. È per questo che ‘Binario 95’, d’intesa con il Municipio Roma I Centro e con la collaborazione dell’Istituto ‘Figlie di Sant’Anna’, Acli e cooperativa ‘Autonomamente’ hanno deciso di aprire un nuovo centro di accoglienza notturna pensato prevalentemente per donne. “L’obiettivo del progetto – dice Alessandro Radicchi di Binario95 – è quello di offrire non solo un posto letto per dormire, ma soprattutto un’accoglienza accurata, che si faccia carico, per un periodo temporaneo, della vita delle persone che entrano nel rifugio, aiutandole a raggiungere una maggiore autonomia e una soluzione soddisfacente di lunga durata”.
Gli abitanti del rione hanno risposto con generosità alle richieste del centro. Sono arrivate coperte, lenzuola, cuscini, asciugamani, vestiario, sedie, comodini e persino una lavatrice. Lo spazio messo a disposizione dalle suore, grazie anche all’interessamento dell’Assessore municipale alle politiche sociali Emiliano Monteverde, è confortevole. Le camere da letto accolgono di norma due o tre persone. Al primo piano ci sono venti posti letto per le donne, al piano terra otto per gli uomini. Vi sono poi vari bagni con doccia, una sala con lavatrice e stendino, una sala da pranzo. Il cibo è garantito dalle Acli che gestiscono da anni il progetto ‘Il cibo che serve’. Ci racconta Giulia Di Gregorio, “Recuperiamo pane, frutta e verdura dai fornai e dal Banco Alimentare e ora abbiamo stretto una collaborazione anche con alcuni ristoranti della zona, che ci forniscono pasti caldi, come lasagne, carne e pesce. Inoltre, aiutiamo le persone che vivono nel centro anche a sbrigare alcune pratiche burocratiche per lavoro, pensione, salute ed altro”.
Criteri e qualità dell’accoglienza. Il centro è stato pensato inizialmente per sole donne e poi ha esteso l’accoglienza anche ad otto uomini con particolari fragilità. Le richieste di ingresso partono di solito dalla Sala Operativa Sociale del comune. Una volta al centro, queste persone sostengono un colloquio con gli operatori, finalizzato a capire meglio le diverse fragilità ed emergenze, e si decide per un primo periodo di pernottamento che, se necessario, può essere rinnovato. Il percorso di autonomia proposto dipende dalla fragilità delle persone. Simone Giani ci spiega che “Non è sempre facile trovare una soluzione migliore: tuttavia, questa settimana un ragazzo ha trovato un lavoro notturno come fornaio ed è andato via, mentre una signora, dopo 2 settimane, è riuscita a riottenere le sua pensione e ha trovato una soluzione più stabile”. Francesca Andreani della cooperativa ‘Autonomamente’ osserva come “Per la riuscita dell’accoglienza, è decisiva la relazione di aiuto che si riesce ad instaurare. Per esempio, le persone che hanno vissuto vari anni in strada hanno difficoltà ad instaurare un rapporto di fiducia con chi le vuole aiutare. Soprattutto le donne, che hanno spesso alle spalle storie di abusi e di prostituzione, sono diffidenti ad entrare nei centri, perché ormai si sentono più sicure in strada, che per loro è diventata una casa e dove sanno come gestirsi”. È vero però che, una volta instaurata una relazione positiva, le donne hanno più forza e determinazione ad attuare un percorso di recupero della loro autonomia, a ricostruire la loro rete di relazioni familiari ed amicali e a trovare soluzioni utili, non solo a se stesse ma magari anche ai propri figli, pur se questi non vivono più con loro.
Parlano gli utenti del centro. Proveniente dal Gambia, Bubacarr, 19 anni, è arrivato da poco al rifugio, dopo tanti anni passati in strada. Ci racconta la sua esperienza: “È molto difficile inserirsi in Italia soprattutto perché non si trova lavoro e perché le famiglie italiane, prese dai loro problemi, non hanno molta disponibilità nei nostri confronti. Io volevo andare in Germania ma non ci sono riuscito. Per fortuna sono una persona positiva e ora spero, con l’aiuto di chi ci accoglie, di poter trovare una condizione migliore”. Anche Camelia, proveniente dalla Romania, ha passato molti anni in strada. Ci esprime le sue prime impressioni di fronte a questa nuova situazione di accoglienza: “Mi auguro di trovarmi bene, sembra una bella situazione”.
Emergenza o continuità? Il progetto è nato in un’ottica emergenziale e dovrebbe finire ad aprile. Ma dice Alessandro Radicchi, “Noi speriamo di poter continuare, magari con il sostegno del Comune di Roma, per assicurare alle persone fragili un sostegno di più lunga durata. Inoltre, pensiamo che la nostra esperienza possa essere d’esempio per altre strutture religiose, molto numerose a Roma, che potrebbero replicarla mettendo a disposizione altri spazi”.
Noi del ‘Cielo sopra Esquilino’ ce lo auguriamo di cuore.
Maria Grazia Sentinelli