Ancora oggi non è chiaro chi furono i responsabili dei disordini che scoppiarono durante la manifestazione. Organizzata dal nascente movimento operaio italiano, fu repressa con arresti e dure condanne
(Numero 25 – Bimestre mag-giu 2019 – Pagina 6)
Con Roma capitale d’Italia, dopo il 20 settembre 1870, l’espansione edilizia della città divenne l’affare del secolo. Abbagliati dalla prospettiva di facili guadagni, tutti vollero diventare costruttori: i proprietari terrieri, l’aristocrazia romana, le grandi imprese settentrionali, le banche ed i piccoli imprenditori, ma anche persone senza arte né parte. Si mise così in moto un meccanismo perverso che risultò come drogato, perché si procedeva soprattutto a cambiali per pagare terreni e materiali. La crisi economica comportò presto il venir meno dei capitali investiti nella speculazione edilizia e quindi un forte dissesto bancario. Nel marasma conseguente le banche diradarono i crediti, i cantieri chiusero ed i lavoratori, disoccupati, scesero in piazza.
Il comizio del 1° maggio 1891. Sono giorni di manifestazioni, quelli della primavera 1891.Il 17 aprile ce ne è stata una in piazza di Termini, il 19 un’altra a piazza Dante. Il 23 la città è stata avvolta da una nube di fumo densissimo per lo scoppio della polveriera di Monteverde, con 230 feriti e alcuni morti. Si pensa ad un attentato e corre voce di un complotto anarchico. Il ministro dirama una circolare per proibire il comizio del 1° maggio, ma è tardi per impedire la manifestazione. Il comitato organizzatore, comunque, ha modo di concordarne le modalità: i lavoratori devono giungere in piazza in ordine sparso, evitando le vie del centro, e sciogliersi alla fine della manifestazione, senza cortei organizzati.
La manifestazione è convocata in piazza Santa Croce in Gerusalemme per il pomeriggio, ma la vigilia si presenta già carica di tensione: l’esercito consegnato in caserma, carabinieri e guardie a perlustrare la città, minacce di gravi sanzioni per impiegati ed operai in caso di adesione alla manifestazione sindacale.
Un’atmosfera carica di tensione. Il 1° maggio, non una bottega aperta, circolano pochissime persone e tutta la città è avvolta “in un silenzio di tomba”. Solo “nell’estremo lembo del quartiere Esquilino” si trovano in attesa i “soldati e la folla irrequieta”. La piazza, estesissima, che dalla basilica di Santa Croce in Gerusalemme si spinge lungo il viale, sino a Porta San Giovanni, circondata sin dal mattino da “carabinieri, fanteria e bersaglieri”, nel primo pomeriggio è già piena. Oltre duemila i lavoratori presenti e, sotto la bandiera nera orlata di rosso, anche un nutrito gruppo di anarchici. I lavoratori edili gridano “viva l’esercito italiano, viva i nostri fratelli armati”, inneggiando ai soldati presenti in servizio di ordine pubblico. I primi interventi dal palco sono retorici e vaghi e vengono fischiati. Un gruppo di manifestanti sotto al palco accompagna con urla di giubilo gli incitamenti alla rivoluzione pronunciati da alcuni oratori. Dal palco si chiede di non applaudire chi invita “a spargere sangue”. La tensione in piazza aumenta. A gran voce, si chiede l’intervento del leader socialista Amilcare Cipriani che, salutato con “clamorose ovazioni”, dal palco, tra gli applausi, esorta alla prudenza. La folla è sempre più infervorata; molti vorrebbero lo scontro subito, altri chiedono moderazione e prudenza. Sul palco, Cipriani e gli altri leader sono preoccupati, temendo disordini di piazza.
Poi la situazione sfugge di mano ed un giovane anarchico si lancia dal palco tra la folla esaltata. Un ispettore di pubblica sicurezza ordina gli squilli di tromba e qualcuno comincia a sparare. È l’inizio della rivolta. Un giovane calabrese, da poco in servizio presso la questura di Roma, cade colpito a morte, mentre un maresciallo dei carabinieri viene disarmato. I rivoltosi, “armati alla meno peggio”, attaccano le forze dell’ordine che arrestano i più facinorosi. I tafferugli, iniziati nei pressi del palco, si propagano in poco tempo al resto della piazza.
La protesta dilaga.Le forze dell’ordine, dopo l’iniziale sorpresa, riportano la situazione sotto controllo. La cavalleria accerchia i dimostranti mentre agenti e militari presidiano il vastissimo piazzale, dalla basilica sino a Porta San Giovanni, accolti da un fitto lancio di pietre da parte dei manifestanti e degli inquilini dei palazzi lungo il viale, che dalle loro finestre gettano di tutto. All’inizio di via Emanuele Filiberto si fanno barricate disponendo i carretti di traverso. Più giù, in viale Manzoni, si assaltano le carceri femminili di Villa Altieri, provocando la reazione dei militari che feriscono alla mano un artigiano e colpiscono a morte un giovane carrettiere. Poi i tumulti si estendono sino a piazza San Giovanni in Laterano dove la cavalleria respinge la folla che lancia sassi. L’uso delle armi sblocca poi la situazione che lentamente ritorna alla normalità. Anche il tentativo di estendere la rivolta in città viene sventato grazie al presidio armato posto tra via Merulana e via dello Statuto. La manifestazione del 1° maggio si conclude con l’arresto di oltre duecento tra lavoratori, esponenti socialisti e anarchici e dure condanne ai processi dei mesi successivi.
Di chi fu la responsabilità? Ancora oggi non è chiaro cosa abbia trasformato il 1°maggio in una giornata di violenze. Sicuramente la cattiva organizzazione dell’ordine pubblico – ed il ministro Nicotera sarà duramente criticato – ma forse anche una precisa provocazione, come fa supporre la presenza di un gruppo di facinorosi nei pressi del palco. Gli avvenimenti del 1° maggio 1891 si dimostreranno infatti politicamente utili per gli ambienti più reazionari del governo e degli industriali per terrorizzare la borghesia contro i “perfidi rossi” e ridimensionare così il nascente movimento operaio italiano.
Carmelo G. Severino