Le disavventure e gli straordinari incontri mattutini di uno studente del liceo Pilo Albertelli
(Numero 25 – Bimestre mag-giu 2019 – Pagina 8)
Federico è un ragazzo che osserva molto; fin da piccolo, due occhioni grandi e profondi gli albergavano sopra il naso. Sempre a caccia di particolari, il suo sguardo saltellava su ogni persona, spesso fantasticando e inventando per ognuna una storia diversa: d’altronde, proprio a lui piaceva parlare di sé in terza persona, e trasportarsi ora di qua, ora di là ora… a scuola! Lì, infatti, il nostro Federico è diretto. Con il consueto ritardo di cinque minuti, la Metro A è riuscita a portarlo fino alla fermata Manzoni, dove ora comincia la rocambolesca avventura per raggiungere in tempo il Liceo Classico Pilo Albertelli, a piazza dell’Esquilino, da cinque anni sede dei suoi studi.
Federico pensa, uscito dalla metro, di incamminarsi spedito verso la vicina fermata del tram, che lo potrebbe portare fino a via Napoleone III: così fa.
La creatura delle 07,50. Ed ecco che, dopo i primi cento metri, incontra la prima delle tante creature del rione, la vera padrona dell’Esquilino alle 07,50 del mattino: lo studente dell’altra scuola. È incredibile, pensa, quanto questa zona pulluli di istituti, licei, scuole medie e scuole private: c’è l’Istituto Tecnico per il Turismo Cristoforo Colombo, il Liceo Classico Tasso, il Liceo Scientifico Plinio Il Vecchio, l’Istituto Tecnico Industriale Galileo Galilei e addirittura due sedi per il Liceo Scientifico Newton! Migliaia di ragazzi e ragazze usano percorrere quelle vie, chi di corsa, chi sapendo di entrare in seconda ora.
Uno stato particolare, quello degli studenti dell’Esquilino alle 07,50: la maggior parte di loro a quell’ora è in metamorfosi, abbandona il suo vero sé, seminandone pezzi e brandelli per tutta via Principe Amedeo, per lasciare il posto ad un avatarscolastico, che spesso ben poco ha a che fare con l’essere che un’ora prima si è svegliato per andare a prendere la metro. Incolonnati su sei file, seduti per sei ore a pensare chissà a quale filosofo etico: li riconosceresti, quegli studenti, mentre mandano a quel paese un autista che ha chiuso loro le porte in faccia, o mentre cedono il posto ad una anziana signora?
Un Cicerone maldestro. Ma non è il momento di porsi domande. Raggiunta la fermata Manzoni, trafelato e quasi assassinato dal solito mattutino pirata della strada, il nostro liceale sale sul tram, il 5, diretto a… Piazza dei Gerani!? Ma da quella parte non va a Termini? Confuso, scarica i suoi dubbi sul conducente della vettura, che con eleganza aristocratica gli risponde: “Ao, e me so’ sbajjato. Va a Termini, do’ voi che va, a Frascati?”. Cortese, pensa Federico. Eppure, che diamine ci vorrebbe a scrivere il capolinea corretto? Possibile che l’ATAC sia così trascurata? La società del trasporto pubblico romano che, soprattutto nel rione Esquilino – ad un passo da Santa Maria Maggiore, tre dal Colosseo e due dalle Terme di Diocleziano – dovrebbe essere il Cicerone su gomma di migliaia di turisti ogni anno, è così mal gestita che non riesce neanche a correggere la destinazione di un tram?
Una nuova insidia. Fammi guardare l’ora, pensa Federico: l’entrata all’Albertelli è alle 08,00. L’orologio segna le 08,10…
Come al suo solito beffardo, al pari della natura leopardiana, il quartiere Esquilino ha però pronta un’altra insidia: la manifestazione dei sindacati. Loro sì che sono l’anima del quartiere. Ogni venerdì, la solita storia. Diritti, lavoratori, sfruttamento, pensioni, vogliamo cose… ogni volta, le stesse grida al megafono. Ma possibile che sempre qui debbano rivendicare i propri diritti? Che poi, pensa, ‘diritti’… per ogni sindacalista della CGIL che protesta c’è un minatore cileno che ride a crepapelle, per poi ricordarsi che deve lavorare altre sedici ore. Federico, nella sua ignoranza, forza dei presuntuosi, sa solo che il tram ora è fermo e che lui anche oggi arriverà in ritardo a scuola.
La sua attenzione viene ora catturata da un ragazzo di colore, più precisamente dalle sue urla: a quanto pare, anche lui sta facendo tardi. Povero, pensa Federico: che ne può sapere un ragazzo, diventato uomo troppo presto, venuto su un barcone dalla Libia, che ora vive in chissà quale palazzone abusivo a Piazza Dante, magari mantenuto dalla mafia, dei problemi dei proletari italiani?
Mentre è perso in questi pensieri, lo sguardo del nostro liceale si posa sulla gelateria Fassi, astro alimentare dell’Esquilino; da un paio d’anni, un imprenditore coreano l’ha acquistata dal vecchio proprietario italiano, come ulteriore dimostrazione della bravura degli orientali in affari. L’Esquilino è un rione fluido, quasi camaleontico. Pochi sono i punti fissi: i bar dove prendi sempre il caffè, la gelateria che monta bene la panna, il fast-food quasi commestibile.
Qualcosa in più. Prima di raggiungere il portone amorevolmente ammuffito dell’Albertelli, Federico incontra l’ultima creatura della sua avventura: lungo via dell’Esquilino, i suoi occhioni si posano su una mendicante di mezz’età, coperta alla bell’e meglio da pile scadenti. Gli chiede un euro, per un panino. In quel momento, Federico pensa a come l’Esquilino possa farti divertire un mondo o farti sentire terribilmente solo; ora è tutto tranne che ilare, e decide di non far sentire sola, per una mattina, quella mendicante. Dandole un euro le confida, a bassa voce affinché non lo sentano i pessimisti: “Buona giornata”. Ed entra a scuola, con quindici minuti di ritardo, un euro in meno ma, forse, qualcosa in più.
Federico Moretti