Con il suo ultimo film ‘La grande ambizione’, incentrato sulla figura di Enrico Berlinguer, il regista Andrea Segre ci porta a riflettere su un’epoca, non molto lontana, in cui la politica e le comunità avevano ancora il coraggio di perseguire ‘l’ideale’ e non si limitavano a vivere in una dimensione tutta schiacciata sull”inevitabile’
(Numero 57 – Bimestre gen-feb 2025 – Pagina 8)
Andrea Segre, autore di film e documentari di successo quali ‘Io sono Li’, ‘Po’, ‘L’ordine delle cose’, ‘Welcome Venice’, e molti altri, è nei cinema da qualche mese con il film ‘Berlinguer, la grande ambizione’ che ha riscosso grande successo soprattutto tra i giovani. Incontriamo il regista, che vive da vari anni all’Esquilino, per dialogare con lui su questa sua opera cinematografica e sul rione.
Cosa l’ha spinta a girare un film su Berlinguer?
Io non volevo fare un film su Berlinguer ma sulla condizione umana di chi si ritrova a credere in una grande ambizione. Su tutto un popolo che ha vissuto molti anni dentro una spinta emotiva, ideale e politica comunitaria e ha dedicato tanto tempo per raggiungere un sogno. Si tratta di una particolarità di quel momento storico. C’erano anche altre comunità ma sicuramente quella del Pci era molto ampia e articolata. Io volevo riflettere su questo, e la figura di Berlinguer era un modo per farlo.
Ha destato in lei più attenzione l’aspetto umano o quello politico di Berlinguer?
L’aspetto personale e umano mi interessa fino ad un certo punto. La figura di Berlinguer è senz’altro interessante, ha una sua componente drammaturgica, un capopopolo anche fragile, incerto su alcune cose e certissimo sulle idee e posizioni politiche. Ma quello che mi interessava di più era entrare dentro quell’esperienza umana, in quel rapporto tra uomo e politica, tra uomo e sogno e ideale, tra possibile e impossibile. Tutti questi temi mi sembravano molto interessanti da porre alla società di oggi, che invece vive con grande difficoltà il rapporto con l’ideale, il sogno, la politica ed è tutta schiacciata dentro all’inevitabile, all’impossibile. Purtroppo oggi le comunità che si impegnano per cambiare queste cose sono poche e frammentate e quindi mi sembrava giusto riproporre una riflessione rispetto a quella storia.
Il suo film sta avendo molto successo, soprattutto fra i giovani. Come spiega questo interesse?
La mia speranza era che il film non fosse visto come una celebrazione o un un’analisi storica di un personaggio, ma che riuscisse ad allargare la riflessione su quel periodo storico. Per i giovani credo sia stato importante constatare la nostalgia per quello che a loro oggi manca, una nostalgia non chiusa sul passato, ma molto aperta e piena di energia. Il fatto che i giovani sono andati a vederlo è un ottimo segnale di allargamento di questa riflessione. Credo che i motivi siano due. Il primo è vedere che è esistita in questo Paese la possibilità di sentirsi insieme a tante altre persone per sognare un futuro diverso. Un’esperienza comunitaria di sogno e di ideale. I giovani si chiedono: «Se mio papà o mio nonno lo hanno fatto, perché io non posso farlo ora, in una società piena di ingiustizia, di sofferenze e paure?». Il secondo motivo di interesse è che i giovani vogliono conoscere un pezzo di storia che ancora purtroppo non si insegna a scuola.
Approfondendo di più l’aspetto politico, l’idea di Berlinguer di cercare una nuova via al socialismo democratico – alternativa al socialismo reale da una parte e al capitalismo predatorio dall’altra – può essere ancora attuale?
Io credo che questa via il Pci la stava percorrendo, anche se non possiamo sapere cosa sarebbe successo se fosse andato al governo. Ma già nel partito avevano adottato delle regole di minor diseguaglianza, come la parità di stipendio tra dirigenti e funzionari, erano previsti solo alcuni servizi in più, come la scorta per il segretario, e l’obbligo dei parlamentari di dare metà del loro stipendio al partito; e anche nei luoghi da loro amministrati con più stabilità, c’erano minori differenze socioeconomiche, maggiori servizi pubblici e più consumo collettivo, come autobus, sanità, parchi, asili nido, tutto ciò che fa parte del bene comune, e questo senza bloccare lo sviluppo della proprietà privata.
Poi nel 1989 è arrivata la caduta del muro di Berlino e dell’Unione Sovietica. Forse Berlinguer sarebbe stato contento perché il socialismo dell’Urss era privo di libertà, di democrazia e senza sviluppo. Si è decretata la fine della storia: si è deciso che l’unico sistema disponibile e applicabile era il capitalismo, anche da parte di tutti i partiti di derivazione socialista. D’allora in poi tutti sono diventati regolatori del mercato capitalista e, a 35 anni dalla fine della storia, abbiamo una società con più diseguaglianze, una preoccupante crisi ambientale, guerre e di conseguenza maggiori investimenti militari, più influenza dei poteri finanziari e meno diritti per tutti.
Infine, passando al rione, puoi darci un giudizio sull’Esquilino di oggi?
È un rione in cui mi piace moltissimo vivere, perché ci sono tanti spazi di socialità all’aperto. Mia figlia di 7 anni ama tantissimo stare nei giardini di piazza Vittorio o Colle Oppio e altri, dove si muove liberamente e si gode la socialità con gli amici. Un problema che vedo in questo momento è l’overturismo che va senz’altro contenuto per tutelare il rapporto tra residenzialità e affitti brevi; come vanno anche introdotte limitazioni per calmierare i prezzi degli affitti. Un quartiere senza residenti diventa un far-west, più pericoloso anche per le infiltrazioni della microcriminalità, da sempre presente in zona. Contrastare questo fenomeno è il modo migliore per avere spazi di socialità per le persone e le famiglie. Una rete sociale rende un luogo più sicuro per essere vissuto. L’eccesso di turismo genera invece uno spazio di antisocialità. La Regione Toscana ha in questi giorni emanato, in collaborazione con esperti della campagna Alta Tensione Abitativa, con cui collaboro, una legge interessante per contrastare tale fenomeno. Le regioni con forte flusso turistico dovrebbero, secondo me, farvi riferimento.
Maria Grazia Sentinelli