Numero 34 – Bimestre gen-feb 2021 – Pagina 9
Poco rimane della magnificenza del complesso imperiale che sorgeva nell’area presso Porta Maggiore. Ma il racconto può ricostruire l’appartenenza identitaria dei luoghi
Una residenza imperiale, antichissima e ricchissima, sorse in territorio esquilino nell’area presso Porta Maggiore, chiamata ad Spem Veterem per il tempio dedicato a Spes, nella mitologia romana personificazione della speranza. Siamo nella V Regio Esquiliae, così denominata da Augusto quando, nel 7 a.C., suddivide il territorio dell’Urbe in XIV regiones, superando la più antica suddivisione di Servio Tullio. Era un luogo dall’orografia accidentata, descritto da Livio con dislivelli e salti di quota, con piccole valli alternate ad alture, in una morfologia di suggestiva scenografia.
Poco rimane della magnificenza del complesso imperiale, se non resti archeologici, ma soprattutto manca la visione unitaria di una presenza urbana e paesaggistica così importante per l’immagine dei luoghi, per la costruzione dell’identità e dell’appartenenza al contesto in cui si vive. L’identità definisce il rapporto tra l’individuo, la comunità e il territorio e crea un legame che orienta la stessa capacità di agire. È fondata su valori, storia e cultura comuni, che producono intenti e visioni condivise. Ma poiché la conoscenza può anche essere mediata dalla narrazione, forse anche il semplice racconto di una realtà ormai scomparsa può sostituire l’esperienza visiva e percettiva ormai impossibile, ma così preziosa a questo scopo.
La V Regio Esquiliae, un territorio ricco di acque e di acquedotti
La nuova regio augustea risulta ridimensionata, ma comprende ancora l’intera zona di Porta Maggiore, il cui tratto distintivo è la presenza di acque in enorme quantità, che la attraversano nei relativi acquedotti: i più antichi di epoca repubblicana, quelli realizzati da Agrippa, quelli imperiali di Caligola e Claudio, inaugurati nel 52 d.C., e quello di Alessandro Severo che ebbe il suo castello terminale nel manufatto noto come Trofei di Mario (Nymphaeum Alexandri).
La straordinaria ricchezza di acque e la movimentata orografia, con la conseguente salubrità e appeal estetico, determinano in tutta la regio le condizioni per una urbanizzazione con ville e horti per le classi abbienti e nobiliari. Aveva iniziato Mecenate, tra il 42 e il 35 a.C., riducendo con massicce quantità di terra le asperità della morfologia e attuando un’energica bonifica, per passare poi alla costruzione della sua sontuosa villa, che tanto piacque all’imperatore Ottaviano, da riceverla in eredità alla morte di Mecenate. Similmente altre proprietà aristocratiche passarono nel demanio imperiale, in dono o per confisca, per il gradimento che suscitavano.
Una struttura stratificata, da Settimio Severo a Elena Augusta
Proprio qui, nell’area occupata dagli Horti Spei Veteris – poi ampliata con gli Horti Variani, proprietà di Sesto Vario Marcello padre di Eliogabalo – cominciò, per opera degli imperatori Severi, la sensazionale creazione di una residenza periurbana alternativa alla dimora palatina. Settimio Severo ne iniziò la costruzione con assoluta magnificenza, sul modello di altre dimore analoghe, come villa Adriana e villa dei Quintili, articolandola in vari nuclei monumentali immersi in un grande parco, e tutti i Severi vi posero mano con aggiunte e ampliamenti. Fulcro del complesso severiano era il palazzo con una grande aula rettangolare, porticata e finestrata, affacciata sulla piazza antistante, cui partecipava il profilo dell’Anfiteatro Castrense, tangente alla terminazione circolare di un lungo e monumentale corridoio, porticus triumphi, coperto e finestrato, a doppia testata curvilinea, lungo più di 300 metri, che oltre ad avere una funzione immateriale di esaltazione del potere imperiale, collegava il palazzo con due imponenti strutture agonistiche: il Circo Variano lungo 620 metri – più grande del Circo Massimo, arrivando oltre l’attuale piazza Lodi, costruito da Caracalla e poi completato da Eliogabalo (Vario Avito Bassiano) per il culto del Sol Invictus – e l’Anfiteatro Castrense – destinato alla corte per le venationes, di forma ellittica con 252 metri perimetrali, per 3500 spettatori, elevato per tre piani e con numerosi ambienti ipogei. Una basilica civile destinata a consigli e udienze, erroneamente chiamata tempio di Venere e Cupido, una piccola aula basilicale attribuita ad Alessandro Severo destinata ai consistoria, un impianto termale, cosiddetto Terme Eleniane dalla ristrutturazione della madre di Costantino, numerose domus in fastosi nuclei edilizi e lo splendido parco, ricco di ninfei, statue e fontane, cascate che sfruttavano l’orografia movimentata e le abbondanti acque, nella bellezza e varietà di piante e fiori gestiti con l’ars topiaria, da poco in voga, completavano la magnificenza di questa dimora, straordinaria anche per quei tempi.
Il complesso venne profondamente alterato dalla costruzione, tra il 271 e il 275, delle Mura Aureliane che tagliarono fuori i 2/3 del Circo Variano e inglobarono l’Anfiteatro Castrense trasformandolo in bastione. Nel IV secolo, dopo un lungo abbandono, divenne proprietà imperiale di Costantino e vi dimorò la madre Elena che trasformò in basilica il grande atrio, denominato Sessorium, con la facciata sul lato corto ovest e all’opposto un’abside semicircolare, destinandola alla custodia e alla venerazione delle reliquie della Santa Croce.
Rachele Nunziata