Numero 34 – Bimestre gen-feb 2021 – Pagina 14
I nuovi giardini offrono scenari da ‘realtà alternativa’. Per la loro bellezza e per gli incontri che vi si possono fare
Sotto i portici di Piazza Vittorio, tra chi difende il diritto di incassare qualche spiccio in più, chi se la suona, chi se la beve, chi se la tampona, chi sereno fa il suo lavoretto quotidiano, decido di portare Amelia a fare merenda nel meraviglioso, mastodontico, nuovo di pacca: Giardino di Piazza Vittorio!
Una manina affilata sfida i carabinieri
Sono i primi giorni di apertura, una volante si addentra nella piazza precedendoci di poco.
– Ah però, meticolosi. Che bello! – dico ad Amelia. Lei arriccia il naso. Un’isola felice rispetto all’esterno. Penso.
Il bello deve ancora venire. In lontananza noto una persona sbraitare brandendo la mano, una manina minuta affilata che grida ai carabinieri: – Via, andate via!
Spingo il passeggino, Amelia al posto di apparecchiarsi i pop-corn per seguire la scena, è tutta in tiro per lo yogurt peretta e albicocca per colazione. Il suo preferito che le brillano gli occhi.
La manina sbraita, andando incontro alla volante, insiste: – Via sia chiaro, i patti non erano questi. Via!
I due carabinieri scendono, da dove mi trovo sembrano enormi rispetto ad Amelia. Lei se li guarda, loro non ci vedono, io mi apparecchio per ascoltare la manina cosa ha da motivare. Un padre con un passeggino è innocuo, innocente, tenero. Metto il bavaglino rosa ad Amelia. Socchiudo gli occhi rovistando negli antri più bui del mio animo. E mi faccio spia.
– Voi qui non ci potete stare! – è il grido di battaglia della manina affilata. Amelia ride, perché non capisce il mio appostamento, ma capisce.
I carabinieri rispondono, fanno un controllo ai documenti, educatamente cercano di tranquillizzarla. Capiscono le sue motivazioni, la macchina non dovrebbe passare su uno specifico tratto della Piazza. La manina punta, indica, argomenta. Affilata però la manina, penso.
È un istante, sento sguardi su di me. Allora armo il mio sorriso migliore e imbocco Amelia. Mi faccio dolce padre giovane e ingenuo. Conto fino a cinque. Uno, due, tre, quattro, cinque. Scampato pericolo. La manina torna a sfilettare i carabinieri. Altra cucchiaiata ad Amelia per non destare sospetto, sono un padre tenero. Amelia perde i suoi occhi ancora blu nei miei ormai verde Tevere, ride. La sua colazione con me è imprescindibile, così deliziosa da necessitare un bel ruttino alla fine.
Una fervente difesa dei giardini
Si avvicinano altri due agenti in borghese. Sembrano un po’ sconcertati e un po’ annoiati. La manina allunga un biglietto da visita che io recito ad Amelia così: ‘IngegnerA, architettA, Deus ex machina responsabile unica del progetto fautrice geometrica strutturale manifesto del bene e del male, esistenza piena decisionale anche del nostro yogurt a Piazza Vittorio.’
Il lieve penzolare della mano del carabiniere che soppesa il bigliettino leggero come uno starnuto mi fa sorridere. Mimo con le labbra il suo pensiero circa il biglietto: ‘E chi sene frega’. Lo pensa sicuro.
Amelia ha gli unici due denti, il naso e un orecchio persi nello yogurt. La manina indica ancora il biglietto da visita con fare deciso. Di lì a poco se non fanno dietro front con tutta la volante, immagino arrivino il Sindaco e il Presidente del Consiglio proprio dritti qui, con tutto il potere potentissimo perché la macchina avrebbe potuto distruggere tutto e la manina è molto affilata.
Ha ragione a fendere l’aria, penso. Anche se in realtà non lo so.
Dal peso del trasporto emotivo, rovesciato senza se e senza ma dal suo agitare la mano, immagino aprirsi un varco nella terra vicino alla fontana. Eccolo un tunnel sotterraneo che arriva alla porta alchemica e ci porta in un ‘altro-quando’ dove tutto è azzerato. Il genere umano che di qua, nel ventunesimo, secolo ha sostituito le caverne con le transenne, di là non esiste.
La voragine si richiude, le mie pupille si fanno spillo. Amelia ha finito lo yogurt, la pulisco con delle salviette umide e penso che sia bellissima la piazza, eppure mi sembra che il fervore della manina non aveva nella difesa della meraviglia il suo unico da farsi. C’era forse anche un moto preciso, deciso, distinto, aprioristico di godimento nel poter bloccare le autorità. Cosa che in quest’epoca va molto di moda a prescindere. Guardo Amelia e le dico che il modo è tutto, che ho impiegato anni a capirlo anche io; il tatto è la chiave e lo imparerà nel tempo. Lei mi guarda e ride con due denti riemersi dallo yogurt.
La manina si calma, vorrebbe scusarsi o forse no o forse io non riesco a sentire, o forse sono preso da Amelia che alterna: – Mammmma ma a Daddaa da.
Il gruppetto si disperde, le foglie autunnali coprono il pavimento della piazza rinata. Dalla porta alchemica mi sembra di intravedere come per magia gente sorridente sfilare in un anelito di speranza.
Andrea Fassi