Storia di due tavoli da ping-pong e di una piccola rivoluzione in atto
(Numero 37 – Bimestre set-ott 2021 – Pagina 3)
Se Amazon ha un sistema per geolocalizzare l’andamento degli ordini che riceve, immagino che negli ultimi mesi avrà registrato un anomalo picco di richieste concentrato in quel cubo di Rubik urbano che si chiama piazza Vittorio, nel centro-non-centro di Roma: racchette da ping-pong, da principianti o professionali, palline, reti da tavolo, custodie di foggia varia.
La cosa non è sfuggita alla signora cinese che gestisce un emporio in zona, uno di quei luoghi in cui entri per comprare un pacco di tovaglioli e poi realizzi che in realtà hai assoluta necessità di un nuovo asciuga-insalata o di un filo da sette metri di lampadine natalizie da esterno con quattro diversi schemi di intermittenza. Nel giro di qualche settimana il negozio ha dovuto riallestire l’offerta di racchette e palline da ping-pong, fino a quel momento presente ma minima.
Un catalizzatore di socialità e conoscenza reciproca
Molla di questo hipe è stata la riapertura, dopo quasi due anni, dei bellissimi giardini al centro di piazza Vittorio, e l’installazione di due tavoli da ping-pong a disposizione dell’utenza. In chimica, un catalizzatore è quell’elemento capace di favorire una reazione. Metti un paio di tavoli da ping-pong in un giardino urbano di un rione inquieto e centrale come l’Esquilino, e ti trovi un amalgama umano che ride, tifa, si mescola e si rimescola, suda, impara, insegna, compete e cazzeggia.
Si scopre che di scuole di tennis da tavolo ce ne sono varie nel rione, a gestione cinese e non, una delle tante cose che a piazza Vittorio vivono sottotraccia, specchio inverso di tutto ciò che invece in superficie è visibile in modo quasi intollerabile, come la povertà e l’emarginazione. Si scopre che il fair play della dimensione sportiva travalica la partita e diventa cordialità, curiosità umana, empatia (quelli troppo competitivi o aggressivi sono in qualche modo costretti ad adeguarsi ad un implicito codice di civiltà). Si scopre che, dopo un anno di mascherine e distanziamento, c’è una terribile voglia di chiamarsi per nome, di restare sconosciuti giusto il tempo di distribuirsi le racchette e decidere i turni. Si scopre che una pallina bianca e leggera è in grado di disinnescare in tanti uomini e donne una compressa ‘voglia di giocare’, di giocare in assoluto non a qualcosa, un impulso infantile e vitale, bello da vedere e, forse, contagioso.
Lo sport e il gioco hanno logiche pulite, onestissime: regole condivise, e vinca il più capace. Sarà banale, forse, ma con quella racchettina rossa e nera in mano non lo distingui più il professore universitario dal portiere di notte né il romano dalla giapponese, il rumeno dal tedesco, il senegalese dal ceco, la venezuelana dal cinese (questo, non è proprio vero, in realtà: la racchetta i cinesi la afferrano in modo diverso). Con la racchetta in mano ci trascorrono la pausa dal lavoro il controllore di Italo e l’impiegato dell’ambasciata. Con la racchetta in mano il tredicenne, rapidissimo, sta in squadra con il pensionato che, ad ogni partita, rimuove un po’ della ruggine dalla sua battuta con effetto. Con la racchetta in mano, certe signore posano a terra la borsetta e il garbo e ti servono una schiacciata che non ha pietà.
Ci si sorride con gli occhi, sopra la mascherina, e la sera le gambe sono di legno. Ci vengono pure dall’Eur, da Trastevere, dal Flaminio, da Pigneto e da Prati a piazza Vittorio per fare una partita. Si attivano le chat di Whatsapp per organizzare: ‘Chi c’è domani? Ho un’ora di buco dalle 9 alle 10’. Dall’apertura alla chiusura dei cancelli del giardino c’è sempre qualcuno che gioca, muovendosi in configurazioni e squadre mai uguali.
Il ping-pong salverà il mondo?
Nel Regno Unito da anni ormai alcune associazioni di promozione del tennis da tavolo stanno collaborando con i City Council per installare postazioni nei parchi e lungo le strade. È addirittura nato un format, i parlour, spazi ‘pop up’ che usano i negozi sfitti per creare sale da ping-pong. Quasi a costo zero, adatto a tutti e inclusivo, oltremanica il tennis da tavolo da anni è considerato dall’amministrazione pubblica una leva di creazione di comunità e di relazioni sociali, un elemento di qualità della vita per le persone.
La reazione chimica cui stiamo assistendo nei giardini di piazza Vittorio lo conferma in modo evidente.
D’altra parte, lo diceva anche Forrest Gump raccontando di essere stato scelto dalla squadra nazionale dell’esercito per un importante torneo di ping-pong in Cina, in piena guerra fredda: ‘Somebody said world peace was in our hands, but all I did was playing ping-pong!’
Micol Pancaldi