Il vicedirettore Pino Pecorelli ci racconta di questa esperienza unica, dei suoi esordi, della musica. Anche del forte rapporto con il rione, dove, però, non è stata mai individuata e concessa una sede
(Numero 27 – Bimestre set-ott 2019 – Pagina 1,4)
Qual è stata la motivazione principale che vi ha spinto a creare l’Orchestra di Piazza Vittorio?
L’intuizione originaria è stata di Mario Tronco, a tutt’oggi direttore dell’orchestra, che ebbe l’idea di trasformare in musica il suono della piazza. Io, che ho sempre nutrito grande curiosità, sia da un punto di vista musicale che sociale, nei confronti delle contaminazioni con persone di altri paesi, sono stato contattato da lui e ho aderito immediatamente al progetto. Era un periodo, quello dopo gli attentati alle Torri Gemelle del 2001, in cui il fenomeno migratorio stava diventando più imponente e in cui affioravano segni di paura nei confronti dei migranti; nello stesso tempo, tuttavia, c’era anche la curiosità di confrontarsi con le culture ‘altre’. Così Tronco, insieme con Agostino Ferrente dell’Apollo 11, misero insieme vari musicisti stranieri che abitavano ad Esquilino, provenienti dalle diverse comunità presenti nel rione, per fare un concerto dimostrativo. Sembrava un’impresa folle; in realtà l’iniziativa è stata un successo. L’esperienza è continuata e dopo 18 anni siamo ancora qui a parlarne. L’idea era quindi nata all’interno del progetto dell’ex Cinema Apollo che purtroppo non ha mai visto la luce nell’ottica originaria. Le due anime in seguito si sono divise ma le due realtà, l’orchestra e l’Apollo 11, sono entrambe vive.
Ora che siete un’orchestra affermata in tutto il mondo riuscite a mantenere ancora un legame con il rione?
Il rapporto con l’Esquilino non lo abbiamo mai perso. Ma, non condividendo più lo spazio con Apollo11, non siamo più quotidianamente presenti nel territorio; inoltre, i numerosi impegni professionali ci tengono lontani per lunghi periodi. Ma noi continuiamo ad essere legatissimi all’Esquilino, tant’è che l’Orchestra porta il nome della piazza in giro per il mondo, valorizzando la sua immagine.
Ora abbiamo realizzato anche un film che ha per titolo proprio il nome della piazza, a conferma del grande amore che portiamo per il rione. Il punto è che non siamo mai riusciti ad ottenere qui all’Esquilino una sede dove situare la nostra attività, né tramite il supporto pubblico, né tramite quello privato, e nonostante le mille disponibilità dimostrate dalle varie amministrazioni. Se pensiamo che c’è tutta l’area abbandonata dei depositi ATAC sotto i giardini! Eppure avere un posto, anche piccolo, in piazza o nelle strade adiacenti, avrebbe potuto stimolare moltissimo il rione da un punto di vista artistico e sociale e rappresentare un volano per la vita dell’Esquilino, una fonte di attrazione per nuovi cittadini romani in cerca di vivacità culturale.
Come si è trasformato il rione in questi anni?
Di fatto non è successo niente e quando non succede niente purtroppo le cose peggiorano. Le associazioni dei cittadini e degli esercenti italiani negli ultimi tempi stanno realizzando iniziative e aprendo nuovi locali per ridare alla piazza un po’ di vitalità, per riappropriarsi di questo luogo che era diventato un grande magazzino cinese. Oggi la piazza è spenta. Anche con riferimento all’orchestra, oggi sarebbe impensabile riproporre un’impresa come quella del 2011. Questo anche per la situazione più generale dell’Italia, dove le nuove politiche migratorie ostacolano il ripetersi di queste esperienze. Oggi, i musicisti extracomunitari sono più attratti dalla Germania o dai paesi del Nord Europa, dove ci sono politiche di accoglienza migliori e dove nascono, non a caso, molte orchestre etniche, anche sovvenzionate dalle amministrazioni nazionali e locali. Anche noi, oggi, cerchiamo i musicisti nuovi fuori dall’Italia.
Qual è, secondo lei, la ricchezza di un’orchestra multietnica?
La ricchezza sta nel fatto che ognuno dei componenti dell’Orchestra ha cambiato il suo modo di pensare la musica e ha allargato il proprio punto di vista. Ciò è stato merito sia della genialità del direttore Mario Tronco che della forza dei musicisti che hanno permesso a Mario di alzare lo sguardo sempre più in alto. Da un punto di vista sociale, poi, quando si mischiano le culture rispettandole tutte, si producono risultati di cui gode tutta la comunità. La musica, come tutte le forme d’arte, anticipa i tempi e permette innovazioni permanenti. Per esempio, la musica da ballo nell’ottocento è stato il frutto dell’incontro tra culture diverse, tra bianchi e neri, schiavi e padroni e via dicendo, e ha completamente modificato il modo di concepire la danza.
Accanto alle vostre produzioni autoriali che conservano una caratteristica di musica etnica e mediterranea, vi siete rivolti alla musica classica rivisitando varie opere, come Il flauto magico, il Don Giovanni, la Carmen. Cosa vi ha portato a questa scelta?
Tutto è partito dalla proposta di un operatore culturale, Daniele Abbado, che nel 2009 aveva realizzato un Flauto Magico di strada e che propose a Mario Tronco di realizzare l’Ouverture con l’Orchestra. Poi il Festival di Lione, in collaborazione con Roma Europa Festival, ci commissionarono l’opera che, rivisitata dal direttore e da Leandro Piccioni, ebbe un grandissimo successo e diede il via a nuovi arrangiamenti di altre opere liriche. È un percorso interessante perché, diversamente dai concerti dove creiamo la nostra musica, questo ci permette di utilizzare partiture musicali di grandi musicisti rivisitandole con gli strumenti e i linguaggi dell’Orchestra, e ti fa capire che tutte le musiche possono essere suonate in diversi modi. Non va inoltre sottovalutato il fatto che l’esperienza teatrale ci ha permesso di dare maggiore continuità professionale ai musicisti. Sono due percorsi diversi che viaggiano in parallelo e permettono la crescita dell’Orchestra, l’uno arricchendo l’altro.
Maria Grazia Sentinelli