Via Principe Eugenio al centro di nuovi riti e mode globali della generazione Z
(Numero 39 – Bimestre gen-feb 2022 – Pagina 3)
Nella personale mappa di un cittadino romano, Principe Eugenio è la via del ristorante di Sonia e del Palazzo del Freddo di Fassi, iconiche mete di pellegrinaggio culinario da tutta la Capitale. Attorno a loro, una singolare sequenza di supermercati, lussuose profumerie, abbaglianti vetrine di scarpe (rigorosamente singole), la chiesa cristiana evangelica cinese, qualche bar, un centro scommesse, una farmacia, una storica merceria e una serie di locali in continua ricerca di destinazione. Negli ultimi anni, però, a far risuonare come nacchere gli sconnessi marciapiedi di via Principe Eugenio sono sempre più spesso gruppi di ragazzi e ragazze attratti da un prodotto coloratissimo, modaiolo e internazionale: il bubble tea.
Difficile che chi ha più di trent’anni e non ha figli adolescenti o poco più sappia di cosa si tratta. Bevanda a base di tè nata a Taiwan negli anni ’80, il bubble tea deve il suo nome alle perle di tapioca, le boba, che scoppiano in bocca rilasciando vari gusti. Mescolato al latte, abbinato a fette di rainbow cake, arricchito di sciroppi e sfere gelatinose al sapore di mandorla, soia, fagioli rossi o frutta, viene servito negli inconfondibili bicchieroni di plastica con cui passeggiare sorseggiando, magari per raggiungere i giardini di Piazza Vittorio e farsi un selfie da postare su Instagram.
Il bubble tea oggi è anche il segno
di appartenenza ad una specifica subcultura
che trova in Instagram e TikTok
i vettori di diffusione globale
Nel minuscolo Youyou, fra i primi ad aprire a Roma, i ragazzi affidano ad un post-it fosforescente un disegno, una firma, un pensiero in decine di lingue diverse da attaccare alla parete del negozio. Anche poco più in là, all’interno del Jiege bar, già da tempo punto d’incontro pomeridiano di studenti fra i quali l’accento romano si alterna al cinese, hanno trovato posto le vaschette arcobaleno per il bubble tea. E ancora dall’altra parte della strada, al 512TEA di recente apertura, i giovani avventori possono appendere al muro minipolaroid che li ritraggono in posa. Con questi piccoli rituali, simboli condivisi e un’estetica ultra-pop molto riconoscibile, la bevanda asiatica oggi è anche un segno di appartenenza ad un gruppo, ad una specifica subcultura che trova nei social media Instagram e TikTok i vettori di diffusione globale e nel K-pop – il fenomeno dei gruppi pop coreani – la sua colonna sonora.
Passando accanto ai ragazzi che frequentano i tea bar di via Principe Eugenio si riconoscono lingue e tratti somatici diversi, mode e stili che si mescolano: eleganti cappotti cammello sopra a scarpe da ginnastica dai colori fluo e dalla zeppa a precipizio, camicie a quadrettoni vintage e magliette con i volti degli anime e dei manga. Per alcuni, la tappa successiva è Cheng Gong, il negozietto di via dello Statuto meta di tanti giovani fan degli idoli musicali coreani in cerca di album e merchandising.
Ultima novità del 2021:
un locale con karaoke
e postazioni per il gaming
Ma l’onda è più ampia e include altri esercizi commerciali gestiti da giovani cinesi che stanno funzionando molto bene, come le raviolerie nate in zona nell’ultimo anno e i laboratori di cake design di via Cairoli, oltre a tentativi apprezzabili ma purtroppo conclusi come l’apertura di una galleria d’arte, sempre lungo via Principe Eugenio. La novità di fine 2021 di questa via in transizione è un locale che propone una saletta per i giochi da tavolo, alcune postazioni di gaming, ma soprattutto due super tecnologiche cabine per il karaoke: microfoni, cuffie, schermi con i video e i testi, e un catalogo di brani prevalentemente cinesi, coreani, giapponesi e inglesi. Ho testato personalmente nei giorni precedenti il Natale e, stregata dalla psichedelica versione di Jingle Bells in cinese, ho promesso, euforica, di tornare col nuovo anno.
Nelle scorse settimane a via Principe Eugenio ha chiuso la storica merceria Santori e sembra che nei prossimi mesi farà lo stesso il negozio di abbigliamento Guidi. Per chi ha nostalgia di un certo Esquilino, è forse un altro passo verso l’ignoto.
Non resta che stare a vedere se il rione, che da secoli tutto accoglie, rimescola e poi digerisce, saprà cogliere questo giovane vento d’Oriente in un modo proprio, originale e locale, frutto delle relazioni e delle contaminazioni che avvengono ogni giorno tra i ragazzi di tante nazionalità diverse che crescono qui insieme.
Micol Pancaldi