C’è un piano per la mobilità sostenibile. Ma basterà a vincere la guerra contro il traffico della città?
(Numero 28 – Bimestre nov-dic 2019 – Pagina 2)
Put, Pnss, Pgtu, Ptpg, Prmtl, sono state le armi usate dalle varie amministrazioni nella guerra dei cinquant’anni contro il traffico, l’intasamento delle strade, l’inquinamento atmosferico da veicoli a benzina e diesel. Armi che non hanno fatto vincere chi le ha usate e che ora sono superate e sostituite dalla bomba Pums. Ma ancora non si sa se questa bomba basterà per vincere la guerra.
Cosa sono i Pums. I Piani Urbani della Mobilità Sostenibile nascono con il decreto del 4 agosto 2017 del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dopo una gestazione europea iniziata nel 2014. Sono obbligatori per tutte le città metropolitane, le città con più di 100 mila abitanti e gli Enti di area vasta. Le parole chiave sono mobilità, sostenibilità, partecipazione, condivisione, qualità dello spazio pubblico; superando così i concetti di traffico e di fluidificazione.
I Pums integrano i Put (Piani Urbani del Traffico, del 1996), che erano uno strumento di gestione a breve periodo e di ambito comunale, e sostituiscono i Pum (Piani Urbani della Mobilità) del 2000, che non avevano mai avuto una regolamentazione efficiente. L’orizzonte temporale dei Pums è decennale e devono essere aggiornati con cadenza almeno quinquennale. I primi dovevano essere approvati entro il 5 ottobre 2019 e Roma ha approvato il suo il 2 agosto 2019.
I Pums sono lo strumento necessario per accedere ai finanziamenti di ferrovie urbane, di metro e di tram. Purtroppo i limiti dei Pums sono la genericità degli interventi. Il punto più importante è che per ogni proposta d’intervento devono essere valutati scenari alternativi e per ciascuno è necessario definire un piano economico e finanziario che ne valuti la sostenibilità economica, finanziaria, gestionale e i benefici generati. È un capitolo importante ma anche molto incerto, dato che non esiste una valutazione condivisa dei costi esterni negativi. Ma anche dei benefici ci sono solo stime, per esempio nella valutazione dei costi e benefici derivanti dall’incremento delle biciclette, o delle aree pedonali, o del trasporto collettivo o di una mobilità condivisa.
Una bomba carta. Entrando nello specifico romano, al Pums della Raggi manca la visione dell’area vasta, ossia l’integrazione con la pianificazione urbanistica provinciale e regionale e con i piani di altri enti come l’Anas o Trenitalia.
Ciò vuol dire che in una realtà con un enorme pendolarismo, anche extra regionale (si pensi a quanti insegnanti vengono ogni mattina dalla Campania), le periferie sono separate dalla città: non c’è inclusione. Il Pums, anche sul piano metodologico della partecipazione, si è rivelato essere una bombetta di carta. A giugno del 2017, la sindaca spiega che il cittadino “potrà scegliere o votare direttamente le opere infrastrutturali che reputa più efficaci per una nuova mobilità”. Ma Linda Meleo, all’epoca assessora alla città in movimento, fa approvare a giugno la delibera n. 13, che inchioda 25 interventi programmatici, i ‘Punti fermi’, e le ‘Linee guida’ con un quadro conoscitivo molto sintetico e ripreso dal Pgtu, con obiettivi e priorità generici, senza nessuna analisi/discussione specifica, e senza averli sottoposti a un processo partecipativo. L’interpello ai cittadini è avvenuto successivamente, con il rischio di risposte basate sulla situazione attuale. A maggio del 2018, si è chiusa la prima fase di ascolto con l’arrivo di 363 proposte/indicazioni di cui 301 attinenti al Pums. E qui la beffa: sono state accettate solo quelle che così è parso e piaciuto.
Flop più grande è stata la richiesta del parere dei consigli municipali: i consigli dei municipi II, III, IV, IX, X, XI, XII, e XIV non hanno dato alcun parere; i consigli dei municipi V, VI, XIII, XV hanno dato parere favorevole, il VII parere favorevole con una osservazione e i consigli dei municipi I e VIII hanno espresso parere contrario con rispettivamente 8 e 5 osservazioni. Queste richieste e/o osservazioni sono riportate nella delibera di adozione del Piano, dove sono state derise e sbertucciate ufficialmente con le motivazioni del loro rigetto.
E allora, perché mai cittadini, singoli o associati, e istituzioni che hanno espresso le loro opinioni per costruire un Piano vincolante degli interventi per i prossimi dieci anni, si dovrebbero dar da fare se poi non hanno nessun riscontro? Dal 21 ottobre 2019 decorrono cinquanta giorni per presentare eventuali osservazioni. E anche in questo caso, saranno accettate o rigettate dall’Amministrazione se così parrà e piacerà?
Carlo Di Carlo