Oltre le mode gourmet. La pizza romana di una volta, grande come la luna
(Numero 41 – Bimestre mag-giu 2022 – Pagina 14)
Mercato Esquilino. Giro tra i banchi annoiato, pensando a cosa cucinare questa sera. Ho voglia di pizza da giorni. Non una pizza al taglio e nemmeno un delivery – come viene chiamata oggi la consegna a domicilio – ma una pizza tonda romana, seduto al tavolo. Niente spesa allora, pizza sia!
Covo il desiderio tutto il pomeriggio, fino alle diciannove. Lo covo accudendolo, cullandolo nel pensiero di quella che reputo la miglior pizza di Roma.
Ricordi e supplì
Entro al Nuovo Canestro alle diciannove e dieci. Gino mi accoglie, Benedetto è in cucina, i figli di Benedetto, credo siano due, non li conosco bene, hanno tra le mani una conoscenza che mi è sufficiente per stimarli.
Io venivo qui da piccolo. Prima di trasferirmi e andar via dall’Esquilino, mio papà mi portava qui. C’era Gino, c’era Benedetto e ricordo Oreste che per farmi ridere alla romana, finiva con farmi piangere.
Tutto è identico. Mi siedo, chiedo una capricciosa. Gino scherza, io vedo in lontananza uno dei ragazzi muovere l’impasto di una pizza.
Poco dopo mi arriva un supplì. Ecco. Il supplì. Questo è un supplì! Se il mio termine di paragone sono i supplì del mio caro amico Arcangelo Dandini, questi sono alla pari. Sapete perché? Perché sono veri: cottura del riso, condimento, crosta intorno.
Una capricciosa perfetta mangiata veloce, troppo
Non faccio in tempo a mandar giù la birra e finire il supplì, che arriva la pizza. Grande come la luna, colorata di natura come il mondo, invitante come un desiderio celato.
La pizza capricciosa più buona di Roma. Lo dico con totale libertà di pensiero. Torno ad avere dieci anni, torno a quella semplicità che riempie senza dover ricorrere a fronzoli estetici.
L’idea del bello. Quell’uovo che traballa, cotto al punto giusto, le olivette nere nere, i funghi sottili, il carciofetto, il prosciutto crudo. Guardo Gino, guardo il forno a legna, sorrido. L’impasto, perfetto, saporito e pulito, pizza bassa, sottile, rotonda da far invidia a Giotto.
La mangio veloce, troppo. Mi guardo intorno, il locale è pieno, rumoroso, piratesco. Fin da bambino ho portato con me un debole per i pirati, per la loro verità scomoda.
Mi alzo, pago, non c’è finzione qui dentro, penso che un posto simile, se fosse sull’isola di Tortuga, varrebbe la pena conquistare tutta l’isola. Ma qualsiasi sia il mondo intorno, Benedetto, Gino e i ragazzi non si piegherebbero mai, continuando a cucinare a modo loro, in silenzio, con gusto.
Andrea Fassi