L’arrivo dell’estate rafforza l’abitudine di vivere insieme lo spazio pubblico all’aperto, come abbiamo imparato a fare durante la pandemia
(Numero 42 – Bimestre lug-ago 2022 – Pagina 3)
Le 8.30 di mattina. Nel giardino di piazza Vittorio la temperatura è piacevole. Il traffico attorno è folle, ma il sipario verde in piena esplosione primaverile lo riduce a un’eco lontana, vaga. Ai tavoli da ping-pong sono già cominciati i primi scambi, i primi ‘Buongiorno!’. Poco più in là, la lenta danza del gruppo di tai-chi, un elegante discorso fatto di gesti e silenzio. Nel viale, un passeggino da cui spuntano piccole mani. Un signore che sfoglia il giornale. Un cane esplora annusando. Qualcuno è già attaccato a una Peroni da 50 cl. Una ragazza corre in tenuta sportiva e cuffie nelle orecchie.
Dal centro del giardino arriva una musica strana e vivace. Un po’ villaggio vacanze, un po’ disco anni ’80. Una decina di signore cinesi, in maglietta fucsia e scarpe da ginnastica, anima con diligenza una coreografia, dietro la guida di una di loro che detta il tempo e i movimenti da eseguire. Fermarsi a guardarle è un istinto. Si legge il rigore e l’impegno, anche in quella performance leggera e senza scopo, se non quello di risvegliare il corpo stando insieme e all’aperto. Estate e inverno.
Poco distante volteggia il maestro cinese di valzer, con una sua allieva. La loro musica non si sente, non c’è. È solo nei loro piedi e nelle loro braccia composte, nelle pause e nelle accelerazioni, nel collo di cigno di lei che si reclina all’indietro solenne. A qualche metro, si gioca a badminton.
Uscire e condividere lo spazio esterno
Questo modo di vivere lo spazio pubblico e, in particolare, i parchi urbani è un aspetto profondamente radicato nella cultura cinese. Stare all’aria aperta a svolgere attività fisica di buon’ora, a giocare, a ballare in gruppo, soprattutto ad una certa età, è una prassi. Fa bene al corpo, ma non solo. Tiene viva la mente e crea relazioni. L’Italia è il Paese delle piazze, il clima è favorevole e Roma è ricchissima di verde, eppure queste sono consuetudini che ci appartengono poco. Almeno ad oggi. Almeno qui. Una città come Roma si affronta con l’elmetto in testa e, soprattutto per i cittadini più fragili e avanti negli anni, è un contesto sfidante, anche ostile. Allora meglio muoversi in auto, rifugiarsi in luoghi chiusi o scegliere la protezione della propria casa. Una protezione spesso apparente, che può tradursi in un dannoso isolamento.
Il Covid, nella devastazione di questi anni, ha però indotto un cambiamento forte su questo schema. Ci ha spinto a ricreare la dimensione collettiva fuori, in strada, in piazza, nei giardini. Condividere gli spazi chiusi non era più sicuro dal punto di vista sanitario, e bisognava uscire.
Tanto di ciò che prima facevamo in casa, in palestra, in ufficio, al ristorante, ora si è spostato all’aria aperta. Nel settore sportivo, la crescita delle attività outdoor è esponenziale. Dalla ginnastica al tai-chi, dal kung-fu allo yoga, dal ballo agli sport di squadra, gli spazi verdi di Esquilino e dintorni (che sono tanti) sono sempre più luogo di corsi e allenamenti, spesso organizzati tramite semplici appelli sui social. Lo smart-working ha disseminato di computer i tavolini dei bar e le panchine dei parchi, accanto ai libri degli studenti di licei e università rimasti orfani delle biblioteche. I dehor di locali e ristoranti hanno occupato strade e marciapiedi (con il dibattito che ne è derivato). La scuola, salvo l’occasionale tentativo di qualche insegnante motivato e creativo, finora invece non ha saputo cogliere l’occasione per sperimentare nuove modalità didattiche che portino i bambini fuori dalle aule, che allarghino al territorio l’atto dell’apprendere.
L’esercizio dell’incontro
Riappropriarsi dello spazio pubblico, essere e agire in esso, è un gesto importante. Personale, collettivo e politico. Significa vedere gli altri ed essere visti. Significa restare curiosi. Significa accettare l’imprevisto che è intrinseco all’incontro con chi non si conosce, perché in uno spazio aperto non ci sono muri a coprire o a separare. Significa quindi trovare compromessi e armonia con l’altro, con portatori di interessi diversi, a volte anche di visioni e valori diversi. È un esercizio complesso e faticoso, che si basa sul rispetto e l’ascolto, sulla condivisione di regole di base. Ma è l’anima stessa della costruzione sociale.
Micol Pancaldi