Con il Pnrr nasceranno le ‘Case di comunità’, poliambulatori plurispecializzati per visite, diagnosi e assistenza. Nel nostro rione la sede prevista è in via Luzzatti. Tanti gli ostacoli e le perplessità tra istituzioni e personale. E intanto per la cura dei più fragili ci si arrangia volontariamente
(Numero 44 – Bimestre nov-dic 2022 – Pagina 1,3)
Gli anni della pandemia hanno ricordato l’importanza dell’assistenza sanitaria di prossimità. La disponibilità del medico di famiglia, la possibilità di prenotare esami medici senza attese, potersi curare e farsi assistere vicino a casa e ai propri cari sono sempre più importanti per la salute e la qualità della vita. Se la pandemia ha portato a dei benefici burocratici, come la smaterializzazione delle ricette cartacee, al contrario le liste di attesa e l’accessibilità di ospedali e ambulatori pubblici e di prossimità sono peggiorate.
Con il Pnrr, Piano nazionale di ripresa e resilienza, molte cose potrebbero cambiare. Il piano prevede infatti una ambiziosa riforma della sanità territoriale. Il principale punto di accesso del cittadino non sarà più lo studio del medico di famiglia. In ogni quartiere sono in arrivo le ‘Case di comunità’, presidi sanitari aperti 24 ore al giorno, 7 giorni su 7, in cui saranno riuniti tutti i servizi della sanità di base, dal medico all’infermiere, fino alla diagnostica e alla medicina specialistica per le patologie più comuni.
La casa di comunità dovrebbe ospitare anche i servizi sociali – perché molte malattie nascono da fragilità socio-economiche – e dare spazio al terzo settore nella definizione dei bisogni sanitari del territorio. Il modello è quello della ‘Casa della salute’, già sperimentato in Toscana ed Emilia-Romagna e adottato in molti Paesi europei.
Il Pnrr prevede una ‘casa’ ogni 40mila abitanti e la Regione Lazio ne ha individuato le sedi.
Quella dell’Esquilino sarà collocata a via Luzzatti, dove già esiste un presidio Asl ben noto al rione. Altre due saranno realizzate in via Monza e via dei Frentani. E gli studi medici? Non spariranno, ma si attrezzeranno per diventare ‘case’ di secondo livello, garantire un’apertura di 12 ore al giorno per sei giorni a settimana e servizi specialistici e infermieristici.
Sulla carta la riforma dovrebbe agevolare l’intera cittadinanza: riunire i servizi sanitari di prossimità in un’unica sede mira a risparmiare la trafila di visite, prenotazioni telefoniche, liste di attesa che affliggono l’assistito in cerca di diagnosi. E spesso lo portano a intasare il pronto soccorso per problemi che andrebbero affrontati altrove.
In un rione composito come Esquilino, per di più, sono tante le fasce sociali che ne trarrebbero beneficio. «I pazienti cronici hanno bisogno di percorsi di prossimità per ricevere assistenza», racconta ad esempio Paola Codato, medico e attivista della Rete Esquilino Sociale, «Altrimenti, devono rivolgersi a servizi privati a pagamento, in particolare, per i servizi infermieristici. Intercettare la sanità di prossimità non è facile e molto spesso nemmeno i medici di famiglia sanno indirizzare i pazienti».
Istituzioni assenti verso immigrati,
homeless e salute mentale dei giovani
Anche le comunità migranti, componente storica della popolazione del rione, avrebbero tutto da guadagnare da un servizio capace di offrire una risposta integrata sul piano sociosanitario. A Spin Time, la grande casa occupata di via Santa Croce in Gerusalemme, che ospita 160 nuclei familiari in maggioranza migranti, si sperimentano i limiti di un servizio sanitario universale solo sulla carta. «Lo sportello sanitario, aperto solo due giorni al mese, realizzato con la Asl e Ong come Medici per i Diritti Umani e Intersos, ci ha aiutato a superare l’emergenza Covid» racconta Maurita Virtù, coordinatrice del gruppo servizi welfare di Spin Time, «Lo sportello indirizza le persone verso servizi di cui spesso non conoscono nemmeno la disponibilità. Ma l’impossibilità di avere una residenza legale ti priva del diritto all’accesso». L’obiettivo è aprire all’esterno lo sportello, perché molte fragilità di chi vive a Spin Time sono condivise anche nel resto del territorio. «In questi mesi abbiamo visto esplodere i problemi legati alla salute mentale tra i più giovani e non solo, perché alla crisi pandemica si è affiancata quella economica».
Anche il polo sociale di accoglienza Binario 95 ha da poco aperto un servizio di salute mentale rivolto alle persone senza dimora. «Le Case di comunità sono un’ottima idea» dice Alessandro Radicchi, uno degli ideatori di Binario 95, «a patto che al loro interno si preveda un nucleo di professionisti appositamente formati per intercettare i casi di marginalità in età adulta. Quelli che nelle strutture ordinarie diventano casi anonimi di cui liberarsi al più presto. Con la competenza che enti come il nostro hanno sviluppato, questi casi si possono gestire».
Saranno problemi superati, grazie alla riforma? Non è scontato. Oltre alle risorse economiche garantite dal Pnrr, una riforma così ambiziosa richiede personale medico che oggi scarseggia. In più, occorre convincere i medici di base – oggi liberi professionisti – a trasferire almeno parte della loro attività dagli studi privati alle Case di comunità. Anche la nuova maggioranza di governo ha espresso perplessità nei confronti della riforma disegnata dal Pnrr.
Il rischio è che le Case rimangano cattedrali nel deserto incapaci di garantire accesso a servizi pubblici essenziali. Secondo la stessa riforma, consultorio e salute mentale non saranno obbligatoriamente presenti nelle Case di comunità. Senza vigilanza da parte della cittadinanza, le Case ancora in costruzione potrebbero perdere altri mattoni.
Andrea Capocci