I Magazzini allo Statuto sono stati in passato il luogo di una secolare storia familiare e imprenditoriale, d’avanguardia commerciale e della comunicazione. Negli anni duemila, precedenti la chiusura, sono stati il simbolo, romano e non, del trash. A breve potrebbero diventare luogo di rinascita sociale e culturale con l’arrivo dell’Accademia Costume & Moda. Un inedito racconto di un simbolo del rione
(Numero 47 – Bimestre mag-giu 2023 – Pagina 1,4,5)
Dalla sua chiusura nel 2017 è rimasta una ferita aperta di 6.700 metri quadri nel cuore dell’Esquilino. Ma qualcosa sta cambiando. All’interno di MAS, Magazzini allo Statuto – la storica insegna di piazza Vittorio e della Capitale – da pochi mesi procedono infatti i lavori di ‘strip out’, ovvero di smantellamento e verifica. Anche se non sembra filare tutto liscio. Dopo che la banca creditrice degli ultimi proprietari, Banco Bpm, ha venduto l’immobile al fondo Azimut (fonte Il Messaggero), diverse imprese si erano mostrate interessate ai locali, ma poi hanno via via rinunciato.
Di settembre finalmente la notizia di un soggetto interessato ad affittare la struttura: l’Accademia Costume & Moda, fondata a Roma nel 1964, che ha formato numerosi talenti del fashion, poi entrati nelle maison più importanti del mondo. Il Cielo fu uno dei primi giornali a darne notizia e a seguirne le sorti sulla pagina Facebook, con la vicenda dello smantellamento delle famose insegne, poi ripresa anche da altre testate come La Repubblica. Ma, contattati i diretti interessati dell’Accademia nel corso di questi mesi, sembra che non sia solo la struttura interna dei MAS a essere smantellata, ma anche la certezza dell’operazione, non essendo ancora sciolte tutte le riserve sul futuro insediamento. L’occasione è utile per ricostruire la vita di MAS e svelare storie inedite dei suoi anni migliori.
La redazione
Sono arrivate col tranvetto Stefer da Frascati. Scendono alla stazione Termini, travolte da una folla rumorosa e nervosa che Emma, al paese, non aveva mai visto. La madre afferra stretta la mano della bambina e la trascina decisa, schivando automobili, biciclette, carretti carichi di cassette di legno o di fusti di latte. Sotto i grandi portici di piazza Vittorio, Emma osserva un signore che vende bruscolini e fusaglie in cartoccetti gialli. Accanto a una colonna, una vecchietta espone croccante e mostaccioli su un tavolaccio di legno poggiato su una cesta capovolta. Madre e figlia accelerano il passo infilandosi tra i banchi del mercato. Delle galline razzolano all’interno di un piccolo recinto malandato. Gli abbacchi pendono dai bastoni di legno.
Un ragazzino pulisce distrattamente la verdura con un coltello e ne getta a terra i resti.
Due gatti magri e fulvi afferrano interiora e teste di pesce da una cassetta di legno e se le vanno a mangiare voraci nel giardino lì accanto, sulle pietre dei ruderi. Emma è stordita dagli afrori e dalle urla dei venditori che propongono la merce. Si osserva il velo di polvere chiara che le ha coperto le scarpe, poi lancia un’occhiata a un gruppo di bambini che giocano per terra con dei noccioli di prugna.
Appena svoltato in via dello Statuto, la madre di Emma si ferma affannata, verifica l’insegna che sormonta le colonne dell’elegante portale da poco inaugurato: sì, sono arrivate a destinazione. Si sistema le ciocche di capelli che le erano sfuggite dalle forcine durante il tragitto e rimette in forma il colletto del vestito della bambina. Le grandi vetrine sulla strada sembrano affacciarsi su un altro mondo. Una di esse espone solo giocattoli. Emma lascia la mano della mamma e si avvicina al vetro: bambole con gli occhi mobili e i vestiti di sangallo, casette in miniatura a più piani, un monopattino dipinto di rosso, un teatrino di legno con le sue marionette, barchette e tamburi. La madre intanto studia l’esposizione degli accessori da signora: borsette in seta pompadour o in pelle, sachet in cuoio colorato, portamonete a soffietto, guanti in filo di scozia o in pelle glacé a tre bottoni. Varcano l’ingresso e rimangono colpite dalla dimensione del negozio e dai soffitti altissimi. Un ampio scalone sale verso il mezzanino, dove si trova una piccola caffetteria. Alcune signore chiacchierano e bevono da tazzine decorate. Scaffali di camicie divise per colore e fantasie foderano le pareti. La mamma di Emma sfiora il bordo di un cappellino in piqué blu che sarebbe perfetto per la figlia. Il prezzo è lì, scritto accanto su un cartoncino, così lei può fare i calcoli senza dover chiedere. Una ragazza in una divisa nera con i polsini bianchi sorride alla bambina, mentre piega un maglione e poi lo ripone con cura. Centinaia di cappotti e completi da uomo tra cui muoversi. Abiti dai tessuti più vari. L’addetto all’ascensore le saluta con un gesto del capo e le accompagna al piano superiore, nel reparto dei prodotti per la cucina. Ad Emma tremano le gambe mentre si sente spingere in alto da quella gabbia mobile che non aveva mai visto. Madre e figlia esplorano eccitate tutti i reparti, uno dopo l’altro, godendosi la libertà di guardare e toccare ognuno di quei bellissimi oggetti senza che nessuno imponga loro un acquisto.
Più tardi, tornata in paese, Emma lo racconterà a tutti: deve esserci qualcosa del genere in paradiso.
In un autunno tiepido di cento anni fa doveva essere questo l’effetto che i Magazzini Generali di Risparmio di via dello Statuto facevano sui romani fiaccati e impoveriti dalla guerra. Ad inizio secolo i fratelli Enrico e Anselmo Castelnuovo, rimasti orfani di padre ancora ragazzini, si fecero carico del destino della famiglia e, con tenacia, si lasciarono alle spalle la vita del ghetto di Roma, fino a riuscire ad acquistare i primi locali commerciali, dal civico 2 al 27 di via dello Statuto, da un’altra famiglia ebraica, i Bondì. Da allora, dagli uffici di via Pellegrino Rossi 12, per i Magazzini Castelnuovo sarà una crescita incessante, che riuscirà a travalicare anche l’orrore delle leggi razziali e della seconda guerra mondiale per poi concludersi amaramente alla fine degli anni ’60.
I grandi magazzini:
la rivoluzione commerciale
arriva anche a Roma
Ci fu metodo e visione nel progetto imprenditorioriale di Enrico Castelnuovo.
Mentre gli altri rami di questa famiglia ebraica romana si diedero all’antiquariato, Enrico colse le potenzialità della rivoluzione commerciale che arrivava dall’estero. Studiò quello che era accaduto dalla seconda metà dell’800 a Parigi, con il successo dei grandi magazzini Au Bon Marché, e a Londra con i department store. A Milano, i fratelli Bocconi avevano inaugurato a piazza del Duomo Le città d’Italia, che poi diventeranno nel 1918 La Rinascente. È allora che vengono gettate le basi del consumo di massa, della grande distribuzione e dell’acquisto come esperienza anche di intrattenimento. Il ‘terribile incitamento alle
spese’ raccontato da Émile Zola ne Il paradiso delle signore era il frutto di un nuovo meccanismo di seduzione: la merce sovrabbondante, esposta e direttamente accessibile al cliente dagli scaffali, il prezzo fisso, gli abiti già confezionati, i cataloghi, le vetrine sempre più ricche e creative, le giovani commesse. Meccanismo che nel corso del ‘900 si perfezionerà con le tante leve della comunicazione, da quella visiva agli eventi.
I Magazzini Generali di Risparmio Castelnuovo arrivarono ad avere tre sedi, a via dello Statuto, a via Arenula e a via Nazionale, per poi scindersi e diventare Magazzini allo Statuto nel 1938, per aggirare le leggi razziali (ma quella della famiglia Castelnuovo è una storia nella storia, che qui non c’è spazio per raccontare). Non diventeranno mai una catena, come invece faranno La Rinascente e le più popolari Standa e Upim. Resteranno per decenni un’esperienza unica e originalissima, la ‘via romana’ a quel modello commerciale del Nord: i magazzini dei cittadini della Capitale e della provincia laziale.
Concorsi, rate, prestiti, sconti, pubblicità:
mai visto un marketing così
Sarà proprio la fidelizzazione dei propri clienti a guidare la strategia di comunicazione dei Castelnuovo, che ne faranno un uso assiduo e molto innovativo, addirittura cross-mediale
diremmo oggi, attenti ad agganciare le proprie campagne a eventi e passaggi importanti della storia italiana.
Scavando nell’archivio storico de Il Messaggero si trovano pubblicità dei Magazzini già durante la prima guerra mondiale, quando solo pochissimi altri marchi, come il marsala Florio o la catramina Bertelli, utilizzavano i quotidiani per veicolare i propri messaggi.
A febbraio 1918, austeri riquadri testuali inseriti nella pagina della Cronaca di Roma invitavano la clientela a un concorso a premi per tutti coloro che avessero sottoscritto, presso i Magazzini stessi, una cartella del valore di 100 lire del Prestito nazionale consolidato al 5% netto. Si trattava della sesta e ultima sottoscrizione pubblica a sostegno delle spese belliche. Non sarà l’unico caso in cui i Magazzini di via dello Statuto sosterranno campagne nazionali di questo tipo: nel 1947 la Cassa di Risparmio di Roma aprì un punto di sottoscrizione del Prestito della ricostruzione presso MAS che regalava pacchi dono ai clienti che ne sottoscrivevano quote per almeno 100 mila lire. Offerte speciali e ‘grandi vendite’ in occasione dell’inizio dell’anno scolastico oppure per Natale, Pasqua, Carnevale o primavera; ‘eccezionali ribassi’ di fine stagione; tessere sconto; vendite a rate e a credito, fra i primissimi negozi in Italia; cataloghi illustrati; ‘spedizioni in contrassegno’ in tutta la provincia; omaggi ai compratori; promozioni e fiere del bianco o del venerdì; sfilate di ‘graziose indossatrici’ per presentare le nuove collezioni; assortimenti vasti ai prezzi migliori; corse tramviare speciali e gratuite da diverse zone di Roma verso i Magazzini: per attrarre i clienti MAS aveva già pienamente dispiegato l’armamentario del marketing precedente all’era digitale.
La creatività comunicativa
esplode nel secondo dopoguerra
Ripercorrere i quarant’anni di réclame via stampa dei Magazzini di via dello Statuto è un viaggio che attraverso slogan, disegni, figurini e poi fotografie, loghi e listini prezzi racconta un Paese che cambia profondamente. Dalla fine 1938, emanate le leggi razziali, il cognome Castelnuovo resta nascosto dietro l’efficacissimo acronimo M.A.S. Quelle tre grandi lettere spiccano tra le fitte parole dei quotidiani che raccontano il precipizio che portò l’Italia fascista in guerra; continuano a raccontare scampoli di vita e di normalità: le virtù delle ghiacciaie disponibili a prezzi speciali, gli assortimenti di abbigliamento per la scuola, la grande vendita di drapperie per uomo; si adattano alla politica dell’autosufficienza economica del regime e alla propaganda sul prodotto italico, invitando i propri clienti alla Settimana autarchica della profumeria e alla Primavera del Raion, una delle fibre, come il lanital e il cafioc, introdotte in quegli anni per sostituire quelle d’importazione.
Sarà dal 1946, però, che i Castelnuovo costruiranno una squadra di addetti alla comunicazione che saprà cavalcare con modernità e mestiere l’energia del dopoguerra e l’onda del boom economico italiano.
Agli strumenti già consolidati, si aggiungeranno iniziative creative e originali legate al Totocalcio, al Lotto e alla lotteria nazionale; concorsi artistici, vetrine animate, spettacoli e persino rassegne di cinema dedicate ai fanciulli, una fetta di mercato tutta da esplorare; grandi esposizioni a tema, anche di respiro internazionale come quella dedicata all’Oriente alla fine degli anni ’50, o la campagna multi-lingue realizzata in occasione delle Olimpiadi di Roma del ’60 che puntava ad attrarre i tanti turisti stranieri in arrivo nella Capitale; e infine l’elaborazione di un coerente e moderno corporate design affidato al mestiere di Heinz Waibl che nel 1955 creò il moderno logo MaS che ancora era visibile sulle insegne esterne smontate a fine 2022.
A luglio del 1946 Bartali vince il Giro d’Italia davanti a Coppi e Ortelli. Un’edizione epica di una delle competizioni sportive più amate del Paese, la prima dopo la pausa bellica. MAS a settembre di quell’anno lancia il grande concorso radiofonico a premi: La MAS al Giro d’Italia. Un percorso in 17 tappe regionali che metteva in sinergia informazioni rivelate via radio, le pubblicità su Il Messaggero e gli eventi presso il negozio. Con lo stesso originale dispositivo, l’anno successivo verrà lanciata La Tombola della MAS, con l’estrazione dei numeri fatta ogni giovedì alle 20.28 attraverso i microfoni di Rete Azzurra, che trasmetteva da Monte Mario e che, insieme a Rete Rossa, dal 1944 costituiva l’offerta della nuova RAI Radio Audizioni Italiane. MAS offrirà poi veri e propri programmi radiofonici: nel 1947 la ‘farsa radiofonica, originalissima e divertentissima’, dal titolo Abbasso il frolloccone, ancora una volta su Rete Azzurra e, nel 1948, un altro ‘gaio programma’: Il canzoniere della MAS.
La vena umoristica non si esaurirà nei programmi via radio. Nel 1949, ogni giorno da gennaio a marzo, MAS sponsorizzerà nelle pagine dedicate alla cultura e agli spettacoli del quotidiano romano una striscia umoristica: Il raccontino senza parole della MAS. Protagoni-sta Luigino, la versione italianizzata di Louis, il personaggio disegnato dal britannico Harry Hanan: un antieroe, un simpatico perdente.
Ci saranno solo rari tentativi, nei 40 anni di comunicazione di MAS, di elaborare pubblicità glamour e artistiche, come quelle de La Rinascente, per rivolgersi ad un pubblico ‘alto’. I Magazzini allo Statuto cercarono sempre di parlare alla gente, di raggiungere e fidelizzare anche ‘l’affezionata clientela di provincia’, di fornire servizi, di essere moderni ma accessibili a tutti, puntando sulla ‘miglior qualità al minor prezzo’. Lo farà utilizzando un linguaggio semplice e concreto.
Dalle sue vetrine scintillanti, MAS parlò ai ‘Luigini’ italiani, che barcollano ma in fondo non mollano mai, e cercò di star loro accanto, in quei quarant’anni cruciali in cui disgrazia e speranza si alternarono in modo straordinario, trasformando il nostro Paese.
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Micol Pancaldi