Oggi, tutti sono sicuri, il futuro dell’automobile è elettrico. Ma come ricarico fuori città?
(Numero 47 – Bimestre mag-giu 2023 – Pagina 2)
Era una bella giornata di luglio del 1886 e l’automobile filava a 13 km/h sulla strada tra Mannheim e Pforzheim. «E adesso come faccio?» disse la signora Bertha Ringer, e lo disse in tedesco perché frau Bertha era tedesca. Il serbatoio del carburante era asciutto. Eugen, uno dei due figli che portava in visita dai parenti a Pforzheim, consigliò di aspettare una macchina di passaggio e chiedere aiuto. «Mi sembra difficile», disse la madre, «questa è una delle sole tre auto esistenti al mondo, e tuo padre non sa neppure che l’ho presa». E spedì i due ragazzi, uno verso Wiesloch e l’altro verso Mannheim. Lei si avviò verso un paesino che doveva essere poco distante. Lì sicuramente ci sarebbe stata una drogheria dove comprare il petrolio illuminante, o almeno una farmacia dove trovare il ligroin che sarebbe andato bene lo stesso. Trovò una farmacia: questa è tutt’oggi considerata la prima ‘stazione di rifornimento’ del mondo.
Fatta l’auto elettrica,
bisogna fare le colonnine di ricarica!
Era una bella giornata del 2035 e l’automobile filava sulla strada tra Roma e Viterbo. «E mò come cavolo faccio?» disse la signora Antonella Catini che abitava a Roma. L’auto non aveva il serbatoio della benzina e le batterie si erano scaricate. Molti distributori di benzina erano chiusi da anni e i pochi aperti che avevano i sistemi di ricarica erano lontani. Una delle due figlie, che portava in visita ai nonni a Viterbo, consigliò di chiedere aiuto alle auto di passaggio, e l’altra consigliò di arrivare a piedi a Monterosi, che era vicino, per cercare una batteria carica da sostituire a quella esaurita, come una volta si faceva con la ruota di scorta. Ma la signora Antonella era contraria: chissà cosa avrebbero mollato loro, e a che prezzo! Meglio accostarsi di lato, tirar fuori il piccolo gruppo elettrogeno, scoppiettante e inquinante, e con quello ricaricare le batterie. E la cosa funzionò. Ci volle un po’ di tempo, ma funzionò per quel tanto necessario ad arrivare a un punto di ricarica veloce.
Una volta si diceva ‘fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani’, ora si dice ‘fatta l’auto elettrica,
bisogna fare le colonnine di ricarica’!
Negli anni ’50 e ’60 del ‘900, per pagare la sosta in città, specie negli Stati Uniti, erano stati introdotti i parchimetri. Erano una specie di colonnina con una testa munita di orologio, manopola di regolazione del tempo di sosta, un corpo contamonete e una piccola cassaforte per i vigili urbani o altri addetti. Erano dispositivi individuali per ciascun stallo di sosta. Sono poi caduti in disuso. Forse si troverà qualcosa di analogo per ricaricare le auto elettriche, almeno in città e negli spazi pubblici. Per attrezzare spazi privati, giardini, garage, cortili o parcheggi di negozi e supermercati, sono in commercio molti dispositivi anche a prezzi accessibili. Le soluzioni funzionali e operative sono quelle dei carica batterie dei telefonini, in scala molto, molto più grande. Per il fuori città, l’Europa ha già disposto che in molti percorsi sia obbligatorio avere colonnine di ricarica almeno ogni 40 km. Salvo ovvie eccezioni, quali isole o zone di montagna.
Probabilmente la ricarica sarà dimensionata su quanto si consuma normalmente nei percorsi giornalieri che sono di circa 40 km al giorno.
La spinta al cambiamento
arriva da inquinamento e rumore
Sono proprio le basse percorrenze, le basse velocità, le continue fermate e ripartenze che hanno spinto per l’adozione delle auto elettriche: l’auto con motore a combustione, sia a benzina che diesel, inquina. L’inquinamento è acustico e atmosferico. Quello acustico è per lo più originato dal rotolio dei pneumatici sulla strada, specie se piena di buche o di sanpietrini sconnessi.
Grave è l’inquinamento atmosferico: fa male all’ambiente e alla salute. Poco hanno fatto le ‘giornate senza auto’, ossia con limitazione alla circolazione di determinati veicoli. E allora l’unico rimedio è stato quello di eliminare i motori che bruciano qualcosa e i cui fumi restano nell’atmosfera. È vero che il più delle volte anche l’elettricità per le auto elettriche è prodotta bruciando qualcosa, ma si brucia a punti fissi con una combustione controllata, in grandi impianti nei quali è possibile adottare sistemi ottimali di depurazione.
Ecco quindi che abbiamo ‘l’auto di città’. La City Car con tutti i suoi accessori diventa realtà.
Carlo Di Carlo