Salvatore Geraci, responsabile dell’area sanitaria della Caritas romana, parla dell’ambulatorio di Termini
(Numero 16 – Bimestre nov-dic 2017 – Pagina 1,6)
“Trasformare una zona di morte in una di speranza”. Questa è stata la scommessa di Don Luigi Di Liegro nella seconda metà degli anni ’80, quando decise di chiedere alle Ferrovie dello Stato l’utilizzo dello spazio vicino alla Stazione Termini, sul lato di Via Marsala, per offrire accoglienza alle persone con forte disagio sociale. Così nacquero il primo ostello, la prima mensa a Colle Oppio, il laboratorio sanitario e i centri ascolto. Poi nacquero tutti i servizi diffusi, oltre che all’Esquilino, anche in tutta la città. Di questo parliamo con Salvatore Geraci, responsabile area sanitaria della Caritas romana.
Qual è la filosofia alla base dei servizi della Caritas?
Tutto nasce dal Concilio Vaticano II con cui si passa dal concetto di assistenza a quello di giustizia. Un povero va aiutato ed assistito, ma vanno anche capiti i suoi bisogni in modo che possano emergere le possibili soluzioni al problema. Quindi anche politica attiva per la tutela dei diritti e la realizzazione del bene comune. E’ importante dare risposte immediate, ma è altrettanto importante sensibilizzare gli altri, soprattutto le istituzioni, a farsi carico dei problemi e a dare risposte. Noi cerchiamo di far emergere la dignità delle persone e non farle considerare elementi di peso e di fastidio.
A proposito di istituzioni, sentite da parte loro l’attenzione dovuta per le persone che vivono particolari situazioni di disagio?
Questa domanda forse dovrebbe essere rivolta ai direttori della Caritas. Per parte mia posso dire che sulla carta l’attenzione c’è, ma dipende anche dalla sensibilità con cui le varie amministrazioni si fanno carico dei problemi. Per l’ambito sanitario, negli ultimi venti anni c’è da parte della Regione un’attenzione abbastanza forte. In ogni caso, in questo momento, sia l’ambito sociale che quello sanitario risentono dei limiti di budget che si traducono in risorse più ridotte, soprattutto riguardo al personale.
Come è nato l’ambulatorio di Termini?
Inizialmente l’ambulatorio è nato per assistere gli immigrati senza permesso di soggiorno; per loro non esisteva alcun diritto alla salute. Con il tempo, si è aperto ad altri tipi di fragilità come i migranti vittime di violenza o tortura. Con la crisi economica sono arrivati anche molti italiani, che non avevano casa o non riuscivano a pagarsi le medicine. Gli italiani usufruiscono più dei servizi mensa e ostello, mentre i migranti, soprattutto i rifugiati, chiedono più servizi sanitari. D’altra parte ormai il confine tra la povertà e la normalità è diventato molto sottile. Basta una malattia, una separazione, un lutto per farci trovare in una situazione di bisogno. Ora in ambulatorio abbiamo circa 1500 nuovi arrivi all’anno e circa 4500 vecchi pazienti. Questo dipende dal fatto che anche gli immigrati invecchiano e le malattie si cronicizzano. Vi lavorano circa 350 volontari, tra medici di base, specialisti ed operatori socio-sanitari.
Come sono organizzati i servizi sanitari?
Sono quattro gli ambiti d’impegno che sono anche i pilastri su cui si fondano le politiche della Caritas in questo settore. Il primo ambito è quello assistenziale: rispondere concretamente ad un bisogno di salute di chi si trova al margine del sistema; ad oggi sono state oltre 90.000 le persone assistite presso le strutture sanitarie della Caritas. Il secondo è quello della conoscenza: prima si conosce il fenomeno e poi si interviene, perciò abbiamo studiato ciò che sottende a disuguaglianze ed ingiustizie; il terzo ambito d’azione è quello formativo: conoscere e condividere le scoperte con altri operatori pubblici e privati dello stesso settore, con corsi di formazione, incontri di riflessione e ricerche comuni. Infine l’impegno per i diritti di tutti ed in particolare dei soggetti più deboli: i tre ambiti precedenti si sintetizzano in denunce di inadempienze, di diritti negati o nascosti, ma anche in proposte di politiche di arrivo. La cosa positiva è che riusciamo sempre più a lavorare in rete con le ASL, gli ospedali, il privato il sociale, le associazioni locali, gruppi e comitati di cittadini; questo permette di aumentare l’offerta di servizi nella città. Se io do un servizio di assistenza base, poi sarà nostra cura inviare il paziente all’ASL per una prestazione approfondita. Su alcuni ambiti abbiamo migliorato la nostra competenza, riuscendo a trattare, per esempio, le fragilità dei profughi derivanti da violenza, subita o vista, nei luoghi di guerra. Mentre il disagio mentale derivante dal fallimento del progetto migratorio per i migranti economici, che richiede un trattamento più lungo, di solito lo deleghiamo alla Asl.
In che modo le persone vengono a conoscenza dell’ambulatorio e come vi giungono?
Molti arrivano dai centri di ascolto delle parrocchie, che oggi sono la rete più capillare sul territorio (prima era forte anche la rete del Pci).Arrivano anche grazie all’esistenza di equipe socio-sanitarie di strada. All’Esquilino inoltre abbiamo due punti di informazione importanti: ogni venerdì mattina davanti al mercato c’è un “Banco della salute”, dove lavorano operatori nostri e della Asl, l’altro punto è all’interno del mercato, nello spazio della “Mediazione sociale”, dove si fa orientamento sanitario.
Alcune persone sostengono che la presenza di strutture di assistenza nel rione contribuisca ad accrescere la presenza di migranti all’Esquilino.
Prima di tutto voglio dire che la presenza degli stranieri in Italia si è ridotta perché molti, una volta che sono divenuti cittadini italiani, si sono trasferiti nei Paesi del Nord Europa, più avanzati economicamente. Nell’ultimo anno sono emigrate dall’Italia 150.000 persone, di cui 20.000 erano migranti già divenuti cittadini italiani. Inoltre c’è da tenere in conto che spesso si creano delle percezioni sbagliate, come quella che i migranti portano malattie, che non è suffragata da alcun dato scientifico. Penso che è meglio avere strutture di assistenza che non averle: ritorniamo all’esempio iniziale della zona degradata che era via Marsala prima che intervenisse la Caritas. Così come è meglio avere un sistema a rete, di polizia, di comitati di cittadini e di istituzioni locali che creano un clima di fiducia e favoriscono l’integrazione, piuttosto che spingere per una emarginazione sempre maggiore.
Maria Grazia Sentinelli