Mentre Roma non riesce a smaltire i rifiuti urbani, c’è chi già sta pensando a come smaltire quelli spaziali
(Numero 37 – Bimestre set-ott 2021 – Pagina 2)
Poco dopo le ore 5 del 9 maggio 2021, in molti hanno tirato un sospiro di sollievo leggendo il comunicato dell’Agenzia Spaziale Cinese, che confermava la caduta dei frammenti del secondo stadio del grande razzo Lunga Marcia 5B in zone disabitate dell’Oceano Indiano al largo delle isole Maldive.
Il razzo aveva portato in orbita il primo modulo della stazione spaziale cinese Tiangong: era lungo una trentina di metri e pesava circa 18 tonnellate. Si pensava che un oggetto così imponente non sarebbe bruciato totalmente nell’atmosfera e che alcuni frammenti sarebbero arrivati a terra. Anche frammenti di meteoriti – dopo essere stati stelle cadenti cariche dei desideri di chi le ha viste – arrivano spesso sulla terra.
Eravamo in piena pandemia e ci difendevamo dal virus con le mascherine e il distanziamento. Per difendersi dai frammenti spaziali, chi poteva, si rifugiava sottoterra. Molti di noi hanno immaginato le nostre autorità rintanate nelle viscere del Gran Sasso – dove sono i laboratori di fisica – o nei rifugi speciali sotto piazza Dante, o ancora in vecchi rifugi antiatomici, come previsto dal sindaco del comune di Bugliano, paese di fantasia.
Naufraga il sogno di spedire la monnezza romana nello spazio
Il pericolo era scampato e i frammenti del razzo, cadendo, non fecero danni a persone o cose, ma arrivarono comunque a terra. A Roma molti si strapparono i capelli. Era stata una bella idea quella di mandare la monnezza nello spazio e ora ci ricadeva in testa. Le discariche sono state chiuse. Di inceneritori, con Raggi sindaco, meglio non parlare. Le altre regioni non vogliono la monnezza della capitale. E non la vogliono più, dopo averci guadagnato bene, le nazioni vicine, specie la verde ed ecologica Austria. La nostra monnezza non la vogliono più neppure le nazioni del nord e centro Africa. Anche la Cina – che la prendeva a piene mani e ce la restituiva con milioni di oggetti – sta creando una nuova Via della Seta, sembra, a senso unico: dalla Cina a noi. Lo spazio era sembrato un buon posto dove accumulare immondizia, che se poi cade verso terra, brucia per l’attrito con l’atmosfera.
Anche l’orbita terrestre è ormai piena dei nostri rifiuti
Ma lo spazio è già pieno di monnezza e detriti abbandonati in orbita: satelliti dismessi, sonde, pannelli solari, razzi, frammenti di rivestimenti, utensili persi durante le missioni. Molta monnezza potrà ricadere sulla terra e distruggersi attraversando l’atmosfera, ma molta altra è troppo lontana per rientrare in gravità terrestre: rimarrà in orbita per moltissimi anni, forse secoli.
E poi aumentare la quantità di rifiuti nello spazio significa aumentare i pericoli di impatto con satelliti funzionanti e con astronauti. È opportuno diminuirne la quantità. E allora creiamo gli spazzini spaziali! E anche l’AMA, con decenni di esperienza urbana, potrà fare la sua parte.
Ma la realtà talvolta supera la fantasia (e la parodia!). Ed ecco che l’Agenzia Spaziale Europea ha firmato un contratto da 86 milioni di euro con il gruppo industriale svizzero ClearSpace per acquistare il servizio di rimozione di un rifiuto spaziale dalla sua orbita. Una prima missione avrà luogo nel 2025. Anche la NASA, americana, ha proposto una varietà di opzioni per rintracciare, rilevare e rimuovere detriti spaziali. Una di queste consiste nel colpire carichi spaziali con missili (militarmente si tratta di missili antisatellite).
Anche in questo caso, AMA potrebbe dare il suo contributo: perché usare missili, che esplodendo provocano migliaia di detriti, quando invece potrebbe bastare un semplice accendino? Sono decine i cassonetti bruciati, e spesso così bene che non lasciano nulla sulla strada!
Aspettiamo un programma industriale per lo smaltimento della monnezza. Ma che non venga dal cielo.
Carlo Di Carlo