Analisi organolettica di una cena in buona compagnia sul marciapiede di Piazza Vittorio
(Numero 29 – Bimestre gen-feb 2020 – Pagina 13)
È sostanziale la differenza che serpeggia nelle viscere dell’essere umano, nel ventre molle dell’Esquilino tra ristoranti etnici, cucina romana e persone senza fissa dimora agli angoli delle strade.
Un vecchio amico. Così mi fermo con uno di loro che incontro per caso, un clochard veterano. Lo conosco da alcuni lavori fatti a Binario 95, il centro diurno per senza fissa dimora vicino alla stazione Termini. Mangia un panino con prosciutto crudo e beve vino bianco, Gotto d’oro. Mi riconosce, ma prima io riconosco lui, che per essere certo di conoscermi deve darsi due buffetti sulla tempia.
Mi siedo per terra sul gradino dove ha apparecchiato. C’è odore di vino sotto i portici di piazza Vittorio, è tutto sporco. L’immondizia trasborda da grassi secchioni pronti a esplodere. Non è colpa di nessuno dice, è colpa della gente e poi della Raggi, di Marino, di Veltroni, di Rutelli, di Alemanno. È colpa di tutti quelli che hanno mangiato e che mangiano. Lui mangia poco, dice, e la gente butta tanto, dappertutto.
Legge pure Il Cielo sopra l’Esquilino, perché è la sua tovaglia. Gli casca spesso l’occhio sulla mia rubrica. Dice che faccio bene a parlare di cibo perché il cibo fa contenti tutti e tutti ‘coglionati,’ perché riempie la bocca e zittisce gli stupidi. Dà un morso al panino con i pochi denti rimasti, mastica sul lato destro della bocca mentre non lontano un tram inchioda per via di un ciclista distratto.
È più vero di tre quarti delle persone che incontro, che mi parlano, che mi dicono di fare progetti o di far parte di progetti con altre persone che fanno progetti.
Bicarbonato per l’animo. Fluttua per le vie dell’Esquilino da quattro anni, senza casa. Si gratta la testa con il dito medio quando dice che vive per strada, ma l’Esquilino è come se fosse un tetto senza mura, dove pisciare mangiare e magari farsi allungare uno spiccio. Un po’ una casa. Fortunatamente c’è Binario 95, e il panino con il prosciutto, quello comprato chissà quando, quello che mi porge e che io mordo. Si l’ho morso, con qualche perplessità ma alla fine l’ho mandato giù. Il pane è senza sale, un po’ secco, il crudo è un po’ stantio ma passabile.
…Lo hai pensato, ammettilo. Sì, tu che stai leggendo, hai pensato ‘Questo è scemo!’. L’Esquilino è così. Mangi pesce crudo a tre metri da un barbone, e il degrado eccolo lì che sull’animo fa come il bicarbonato dopo un pasto. E passiamo oltre perché alla fine lui il suo panino di pane di Terni e prosciutto in offerta se l’è addentato, senza pisciarsi sotto e senza marketing. Non sappiamo davvero la situazione, la vita, i pensieri di queste persone, ma ci scriviamo su e ci sentiamo un po’ più soli.
Cibo di strada sì, ma gourmet! Poi c’è anche un sacco di cibo da strada all’Esquilino. Street food si chiama. Qualcuno dozzinale qualcuno di qualità. Ma la verità è che a me non interessa, frequento solo Radici, la pizzicheria salentina di via Emanuele Filiberto, perché sono amici ed è buono… Al mio amico clochard neanche interessa, si stufa del pane e finisce il prosciutto dopo avermi strappato il suo panino dalle mani.
Fa buio presto nel rione, e sulle pagine Facebook è tutto un parlare di sicurezza. Lui è tranquillo, la sua cena non è gourmet ma mi chiede se ho due spicci per il dolce. Lo zucchero gli fa male, cambia idea sul dolce, non sugli spicci. Gli piace pensarsi pasticcere per far andar via la voglia, quella voglia lì che se invece le cose le fai tu finisci col diventarne indifferente. Dice. Regole della strada, sopravvivenza glicemica. Vita.
Lo saluto. Ho fame. L’intestino punge e devo fare la spesa ma non mi va. Piazza Vittorio di sera è meno bella. Su internet vedo un bel post di hamburger gourmet in zona Termini. Mi avvio da Emmepiù, perdendomi nel ventre molle del rione più complesso di Roma.
Andrea Fassi