Come un viaggio nel tempo

L’Esquilino è il territorio romano più ricco di testimonianze storiche, stratificate in quasi 2900 anni, che ci ricordano che il primo ‘quartiere’ di Roma Capitale, di impianto moderno e a maglia regolare, fu realizzato in un terriorio di antica frequentazione umana
(Numero 57 – Bimestre gen-feb 2025 – Pagina 4)

Passeggiando nel rione, tutto ci rimanda alla sua storia stratificata. E sono numerosi i luoghi che consentono all’osservatore di ‘entrare’ nello spessore di questa storia plurimillenaria.
Uno di questi è davanti all’entrata del giardino di piazza Vittorio, dalla parte di via Carlo Alberto, nel luogo che, sino agli anni Settanta dell’Ottocento, si chiamava ‘ai Trofei di Mario’. Da qui si dipartivano le tre strade che portavano fuori città, al di là delle Mura Aureliane – fuori Porta San Lorenzo, passando davanti alla chiesa di Santa Bibiana, fuori Porta Maggiore, passando davanti alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme, e fuori Porta San Giovanni passando davanti alla basilica lateranense. Se ci guardiamo intorno, i fronti dei palazzi porticati che avvolgono la piazza ci riportano agli ultimi decenni dell’Ottocento, a quando nel 1888 fu realizzato il giardino, ispirato, nella sua originaria versione, alle ville aristocratiche esquiline di cui l’angolo romantico della Porta Magica, ricoperta di rose e caprifogli, è una testimonianza perché faceva parte di villa Palombara (XVII secolo), oggi scomparsa. Anche i Trofei di Mario riportano a un passato lontano perché sono i resti monumentali della grande fontana voluta dall’imperatore Alessandro Severo agli inizi del III secolo d.C. come castello di distribuzione delle acque degli acquedotti Claudio e Anius Novus.

Stando fermi a piazza Vittorio il panorama
ci porta avanti e indietro nella storia plurimillenaria

Guardando il lato nord della piazza e la basilica liberiana sullo sfondo, i due palazzi porticati divisi da via Carlo Alberto, realizzati negli anni Ottanta dell’Ottocento, non presentano dissonanze rispetto al contesto edificato. Ma se spingiamo lo sguardo sul lato sinistro di via Carlo Alberto, la chiesa di San Vito ci riporta indietro nei secoli, in un tempo che va dall’antichità regia del VI secolo a. C. – come rivelano i resti delle Mura Serviane e del macellum Liviae, che si trovano nell’area archeologica sottostante alla chiesa – ai decenni tra Ottocento e Novecento, quando la chiesa cambia per due volte il suo orientamento ristrutturandosi internamente. L’Arco di Gallieno – l’imponente arco di travertino eretto in epoca augustea in sostituzione della Porta Esquilina – ci porta invece agli anni dell’imperatore Gallieno e della moglie Salonina della metà del III secolo.
Se poi si rivolge lo sguardo sul lato destro di via Carlo Alberto, ecco il palazzo costruito dall’Impresa dell’Esquilino nel 1873 che ci riporta ai primi anni di Roma Capitale, quando il quartiere venne popolato per lo più da famiglie di impiegati statali trasferitesi da Firenze a Roma. La chiesa di Sant’Antonio Abate, sullo stesso lato destro della via, porta nuovamente indietro nel tempo, agli inizi del XIV secolo, quando la chiesa fu costruita per sostituire la più antica di Sant’Andrea Cata Barbara del V secolo, sorta per le necessità religiose del vicino ospedale per le malattie della pelle. La chiesa di Sant’Antonio Abate, dopo essere stata sconsacrata per lungo tempo, venne restaurata nel 1930 da Antonio Muñoz, che lasciò inalterate le decorazioni parietali rimodellandone l’ambone destinato alla liturgia di rito bizantino. Ed è dello stesso anno il vicino Collegio gesuitico del Russicum, la cui ideazione progettuale si deve allo stesso Muñoz. Domina però il campo visivo la basilica di Santa Maria Maggiore, con il campanile trecentesco che con i suoi 75 metri sovrasta ogni altra torre campanaria. La basilica dà origine al sistema barocco degli assi sistini, che strutturano il territorio esquilino e collegano tra loro le tre grandi basiliche della cristianità, ed è di per se stessa un esempio di stratificazione storica che attraversa i secoli a partire dagli anni di papa Liberio, che la edificò nella metà del secolo IV. Nel V secolo venne ristrutturata da Sisto III in puro stile paleocristiano, rifulgente di mosaici, poi, in pieno medioevo, da Niccolò IV, e secoli dopo, tra ‘500 e ‘600, da Sisto V e Paolo V, che fecero costruire le loro cappelle funerarie, coperte da alte cupole, in posizioni contrapposte, inducendo Clemente IX, a metà del XVII secolo, a risolvere le incoerenze architettoniche create dalle due cappelle, la Sistina e la Paolina. Attualmente la basilica si presenta nella sua forma rinnovata da Benedetto XIV che volle ricondurre i diversi stili preesistenti della basilica ‘alla pura classicità delle sue proporzioni’.

Conoscere il passato per riscoprire il presente

Ci limitiamo qui, per questioni di spazio, a questa veloce ricognizione, ma sono ancora tante le testimonianze che consentirebbero di andare su e giù nei secoli senza farci muovere dal punto di osservazione iniziale, ampliando così il panorama visivo appena descritto e la memoria del passato più o meno lontano, in grado di offrire nuovi significati a contesti e situazioni spesso discordanti con la realtà del presente.

Carmelo G. Severino