Attraversando l’Esquilino ci siamo abituati a vedere giganteschi archi di epoca romana, ma non sempre ricolleghiamo quelle arcate all’acqua
(Numero 6 – Bimestre mar-apr 2016 – Pagina 8)
Dall’opera di un autore latino, Frontino (che fu curator aquarum, sovraintendente degli acquedotti), sappiamo che Roma era ricchissima di acqua. Questa vi arrivava grazie ad un ingegnoso sistema di acquedotti. Ben 11 allora. Il più antico era l’Aqua Appia, costruito nel 312a.C. dal censore Appio Claudio Cieco.
Opere semplici ma ingegnose. Le acque venivano captate da sorgenti che si trovavano in collina. L’acquedotto era come un enorme e lungo scivolo: ogni suo tratto veniva costruito in modo tale che fosse più in basso di quello precedente, la pendenza era costante e l’acqua arrivava in città grazie alla forza di gravità. Lungo il percorso vi erano delle enormi vasche (piscinae limariae), dove il flusso rallentava e l’acqua decantava depurandosi da eventuali sedimenti. Un acquedotto poteva avere tratti sia interrati che sopraelevati ma sebbene la tecnologia costruttiva già allora fosse molto sofisticata, spesso eventuali problemi del tragitto venivano risolti semplicemente allungando il percorso.
Gli acquedotti dell’Esquilino. Un gran numero di acquedotti entrava in città in un luogo denominato ad spemveterem (nei pressi di Porta Maggiore). Anche l’aqua Appia giungeva all’Esquilino prima di terminare nei pressi del Foro Boario, lungo un percorso sotterraneo.
Acquedotti repubblicani. Dell’Anio Vetus possiamo ammirare gli splendidi archi che si trovano a piazza Pepe e che ora sono il simbolo del mercato del rione. Costruito con il bottino della guerra di Roma contro Pirro (272 ed il 269 a.C.), era lungo 63 km e mezzo e terminava nei pressi della Porta Esquilina, l’attuale Arco di Gallieno. Aveva un ramo collaterale che, passando attraverso Santa Croce in Gerusalemme e San Giovanni in Laterano, giungeva fino agli Horti Asiniani. Le sue acque furono prevalentemente utilizzate per irrigare e per alimentare le fontane delle ville e dei giardini, dal momento che erano spesso torbide. L’Anio Vetus fu il secondo acquedotto costruito a Roma, circa quaranta anni dopo quello di Appio. Venne definito Vetus (vecchio) in età imperiale, quando venne edificato il Novus (38-52 d.C.) che, come il precedente, captava le acque dall’Aniene. Seguiva in gran parte lo stesso percorso dell’Aqua Claudia e si appoggiava anche ad alcune sue arcate. Il suo castellum aquae (costruzione che raccoglieva l’acqua e la distribuiva lungo la rete idrica) si trovava poco dopo Porta Maggiore.
Nel 144 a.C. venne costruito dal pretore Quinto Marcio Re l’Aqua Marcia. Anche questo acquedotto prendeva l’acqua dall’alta valle dell’Aniene, ma a differenze dell’Anio Vecchio, la attingeva da altri bacini più puliti. Il suo percorso era di circa 90 km in parte sotterraneo ed in parte in superficie. Giunto nei pressi di Porta Maggiore, seguiva lo stesso percorso che successivamente verrà seguito dalle Mura Aureliane (le mura ingloberanno questo acquedotto, l’aqua Iulia – di cui una diramazione andava verso i Trofei di Mario – e l’aqua Tepula). Dopo aver passato Porta Tiburtina, l’aqua Marcia terminava nei pressi dell’attuale ministero del Tesoro, ma aveva varie ramificazioni che giungevano sull’Aventino, sul Quirinale e sul Campidoglio (qui c’è una fontana da cui si può ancora bere l’acqua dell’aqua Marcia).
Acquedotti di epoca imperiale. L’Anio Novus e l’aqua Iulia furono commissionati da imperatori (quello dell’aqua Iulia celebrava la gens Iulia, dalla quale discendeva Augusto). Un altro acquedotto molto importante, che si trova all’Esquilino, è l’aqua Claudia. Fu Caligola ad iniziarne la costruzione nel 38 d.C. evenne portato a termine da Claudio, nel 52 d.C. Captava le acque da due laghi nell’alta valle dell’Aniene e, dal punto di vista tecnologico ed ingegneristico, era all’avanguardia. Era lungo 68,681 km ed alcuni suoi tratti caratterizzano ancora oggi la campagna romana con gli enormi muri in blocchi di piperino e gli archi in tufo rosso e piperino. Giungeva a Porta Maggiore ed il suo castellum aquae si trovava poco dopo la porta (la quale è il risultato della monumentalizzazione di due archi dell’acquedotto stesso). Anch’esso venne inglobato nelle Mura Aureliane. Aveva varie diramazioni, ma forse la più importante era l’Acquedotto di Nerone, costruito dall’imperatore per rifornire di acqua il lago ed il ninfeo della sua famosa Domus. Di questo acquedotto è possibile vedere ampi tratti in piazza di San Giovanni in Laterano, via Domenico Fontana e nei giardini di via Statilia.
Nel 226 d.C. l’imperatore Alessandro Severo fece costruire un acquedotto (aqua Alexandrina) per alimentare le terme Alessandrine. Anche questo entrava a Roma nella località ad spem veterem, la sua piscina limaria si trovava nei pressi delle terme Eleniane. Il percorso dell’acquedotto proseguiva poi verso Termini e via del Tritone, fino a raggiungere le terme.
Antonia Niro