L’opera prima di Maria Federica Mazza è dedicata al rione in cui ha passato la sua infanzia. L’autrice ci spiega perché é voluta tornare tra le sue strade e i suoi abitanti, con la speranza di ritrovare se stessa nelle persone che ha deciso di intervistare
(Numero 53 – Bimestre mag-giu 2024 – Pagina 5)
Nel suo primo libro ‘Un luogo comune’ (Palombi editore, 2024) Maria Federica Mazza ha narrato il nostro rione attraverso sedici conversazioni e tre racconti, restituendoci la vita delle persone che qui vivono: una complessità di esperienze, di emozioni e di ricordi che fanno riflettere, interrogano, e in cui qualche volta ci si può rispecchiare. L’abbiamo incontrata per conoscere meglio anche la sua storia.
Maria Federica Mazza, com’è stata la tua infanzia all’Esquilino?
Sono arrivata nell’81 con genitori, nonni materni e una coppia di zii appena sposati. Io avevo solo 4 anni e questa sorta di migrazione familiare la vivevo come una strana avventura. Non conoscevo la Porta Magica, ma qui trovavo di continuo cose misteriose che mi facevano sognare. Sotto i portici, per mano a nonna Mimmi, immaginavo di camminare sopra un enorme caleidoscopio di marmo. Mi incantavo a guardare un rubinetto d’ottone sospeso a mezz’aria nella vetrina di un bar, con il getto d’acqua corrente che usciva senza una spiegazione. Il trucco c’era, ma io stavo ben attenta a non vederlo. Ero una bambina silenziosa, con un gran frastuono di pensieri nella testa e troppa fantasia. Di quel periodo mi sono rimaste le sensazioni. Ricordo la vertigine di sentirmi quasi sfiorata dal volo delle rondini, che con la bella stagione tornavano a nidificare. Dalla mia finestra, all’ultimo piano, le vedevo lanciarsi nel vuoto sopra il cortile del convento di fronte, l’ex Villa Astalli. Ma, soprattutto, ricordo i pomeriggi insieme a nonno Michele, che mi raccontava storie meravigliose mentre dipingeva o cucinava. La mia infanzia è finita il giorno in cui se n’è andato.
Perché hai deciso di scrivere questo libro?
Per andare avanti, a volte, bisogna tornare indietro. Nel 2007 ho lasciato il rione con la mia famiglia, ma in seguito è accaduto qualcosa che nessuno di noi aveva previsto. Ho sofferto a lungo di disturbo da stress post-traumatico e ne sono uscita profondamente cambiata, tanto da non riuscire più a riconoscermi. Per questo ho voluto scrivere del luogo in cui sono cresciuta: speravo che l’Esquilino, a sua volta, si ricordasse di me, che potesse dirmi chi ero e chi sono diventata.
Sei riuscita, attraverso il libro, a ritrovare te stessa?
Sì, e lo devo alle persone che ho incontrato. Gli esquilini mi hanno accolta e sostenuta. Sono stati loro i primi a credere in questo progetto. Nelle loro storie, come in uno specchio, ho visto ricomporsi i frammenti della mia identità.
Da quale idea sei partita per raccontare questo rione?
Da un’idea molto semplice. Ho pensato che l’Esquilino non è un oggetto da descrivere; non è una materia da scomporre e analizzare, né un’etichetta su cui scrivere l’ennesima definizione. L’Esquilino è un luogo, e il luogo lo fanno coloro che lo vivono. È lo spazio in cui le storie si muovono e si incontrano. Raccontarlo vuol dire mettersi in ascolto.
Nell’introduzione del tuo libro hai detto che Esquilino è un luogo comune. In che senso?
Io credo che l’Esquilino sia in grado di suscitare in ognuno di noi, ovunque si trovi, un senso di appartenenza. Chiunque può ritrovare una parte di sé nelle sue storie, ‘comuni’ eppure straordinarie. Il rione che ho conosciuto e ho voluto raccontare, al di là di ogni stereotipo, non è altro che questo: un luogo di comunità e di incontro, capace di andare oltre i suoi stessi confini e di parlare a tutti.
Come hai scelto le persone da intervistare?
Ho cercato di esprimere un’eterogeneità di sguardi e poi, come in un viaggio, mi sono lasciata guidare un po’ dall’istinto e un po’ dal caso. Ogni incontro mi ha riservato grandi sorprese. Sonia Zhou, Andrea Alzetta, Fabrizio Schedid, Antonio Parisella, Nicoletta Cardano sono alcune delle tante voci di questa narrazione corale, che tocca i temi più diversi.
So che la scrittura ha sempre fatto parte della tua vita. Mi incuriosisce sapere se hai qualche altra passione.
Adoro preparare dolci. È il passatempo ideale per una persona insicura come me. Se rispetti le dosi e segui alla lettera il procedimento, non puoi sbagliare. Però devo dire che la mia passione più grande, oltre alla scrittura, è la fotografia. Del resto ogni scatto porta con sé un racconto e gli elementi che scegliamo di inserire funzionano proprio come le parole.
Maria Grazia Sentinelli