Oltre 50 anni di attività premiata dalla fedeltà dei clienti
(Numero 15 – Bimestre nov-dic 2017 – Pagina 6)
Se in via Ruggero Bonghi, all’Esquilino, cerchi una bottega di sartoria su misura, non la trovi. O meglio: non c’è più. Perché, oggi, al civico numero 5, là dove dal 1975 e fino a dieci anni fa Franco Terra, sartore in Roma, faceva abiti su misura a politici, giornalisti, ma anche a tanta gente comune, trovi un negozio di pret à porter, di abbigliamento confezionato per uomo. Il negozio è pieno di merce di qualità e continua ad offrire un servizio di sartoria. Ha una vetrina in più rispetto a qualche tempo fa ma certamente è un’altra cosa. L’attività è gestita dal figlio, che, recentemente, ha perso il suo lavoro. Il mestiere del padre non lo ha mai imparato. Per lui e per suo fratello, che si è laureato negli Stati Uniti e che ora si occupa di marketing a Bologna, Franco e sua moglie hanno immaginato un futuro nel quale non ci fosse la sartoria.
Una scelta saggia? Forse, purtroppo, sì. “Con la sartoria non si vive più”, dice Franco. Ha il sorriso sulle labbra mentre parla ma gli occhi, spesso, sono bassi e la voce anche. Lui e sua moglie si sono ritagliati uno spazio in un’ala del negozio: un soppalco, piccolo e luminoso, che si raggiunge arrampicandosi su una scala a chiocciola. Un grande tavolo di legno con sopra un bracciolo per stirare le maniche, una macchina per cucire, spilli, forbici e aghi di varia grandezza, fili di ogni colore. Lì, oggi, Franco esegue le riparazioni. Ma, ci tiene a dire con orgoglio: “Sono riparazioni sartoriali, noi i rinforzi li applichiamo cucendoli a mano, non con la colla”.
L’apprendistato. A Silvi Marina suo padre faceva il pescatore; e, al paese, chi non andava per mare lavorava la terra. Certamente, allora, un figlio che era intenzionato a fare l’artigiano rappresentava una promozione sociale, era un vanto per la famiglia. Così, quando Franco, all’età di 12 anni, va a Pescara per imparare il mestiere del sarto, nessuno lo ostacola, anzi tutti sono fieri di lui. E Franco impara in fretta: “Questo è un mestiere per il quale bisogna essere piegati”, racconta quasi sottovoce, cioè “portati”. Lui, in effetti, è molto bravo e diventa subito un apprezzato “capponaio”, cioè il ragazzo di bottega specializzato nell’individuare, al momento delle prove, i difetti dell’abito in lavorazione e nel ripararli.
Il sogno di Roma. Ma il miraggio, per lui come per molti giovani di allora, era la Capitale, “perché a Roma c’è il Papa”, dice sorridendo. Così, dopo i diciotto mesi di servizio militare, nel 1960, riesce ad entrare nella famosa casa di sartoria “Brioni”, in via Barberini. Dopo cinque anni di gavetta, decide per il grande salto: si mette in proprio e apre un negozio tutto suo in via San Martino ai Monti. Certamente, all’inizio non è proprio facile e, per arrotondare, continua a fare il capponaio: ma dal grande “Socrate”, a via Nazionale! Nel 1966, anno successivo all’apertura, entra in azienda come pantalonaia Rosetta, che diventerà sua moglie. Intanto, l’attività decolla, i clienti aumentano e lui diventa un maestro per tanti giovani sarti: “Per tanto tempo e fino all’inizio degli anni ’80, c’erano ragazzi che venivano da me per imparare il mestiere e tanti, già affermati e magari più grandi di me, facevano visita alla bottega per vedere come lavoravo”. Tra i suoi clienti molti nomi noti, “ricordo quando prendevamo le misure dei pantaloni a Carlo Mazzarella (attore e giornalista , n.d.r.), che portava le scarpe con il tacco e bisognava tenerne conto”.
Una maestria premiata. Intanto, cominciano ad arrivare i riconoscimenti, come quello del 1972, quando l’Accademia dei Sartori gli conferisce una medaglia, come vincitore, in quell’anno, del Concorso nazionale delle Forbici d’oro. Così, quando, nel 1975, trasferisce l’attività all’Esquilino è ormai il sarto di fiducia di molti politici, attori, giornalisti e gli affari vanno a gonfie vele.
Poi, le cose, lentamente, cambiano: c’è la crisi, e, soprattutto, si affermano i grandi marchi dell’industria dell’abbigliamento, che, peraltro, resta uno dei pochi settori trainanti del nostro Paese. Così, un’attività che prima era prevalentemente manuale e nella quale la tecnica sartoriale rappresentava un enorme valore aggiunto, è diventata sempre più meccanizzata, affidata alle macchine in tutte le diverse fasi della lavorazione: in questo modo, i costi si abbattono, ma a scapito della qualità, mentre si restringe lo spazio per la sartoria artigianale, per i suoi tempi di lavorazione e per i suoi costi ormai del tutto fuori mercato.
A Franco resta la consapevolezza di avere lavorato tutta la vita mettendoci passione e professionalità, come gli ha riconosciuto la Camera di Commercio di Roma, conferendogli, nel 2011, il premio come Maestro dell’Economia, per i suoi 50 anni di attività. E gli resta la soddisfazione di sapere che tanti suoi vecchi clienti non lo hanno abbandonato: “Nei prossimi giorni dobbiamo consegnare un abito a Piero Terracina (sopravvissuto al campo di concentramento di Auschwitz, n.d.r.). Non l’ho confezionato io, gli ho fatto delle riparazioni: ma con la mia tecnica, di vera sartoria!”.
Paola Mauti