Altri negozi storici dell’Esquilino che abbassano le serrande per l’ultima volta. Solo una rinnovata esperienza d’acquisto del cliente potrà salvare le attività tradizionali dall’inesorabile avanzata del commercio online
(Numero 40 – Bimestre mar-apr 2022 – Pagina 3)
E alla fine hanno deciso di chiudere: la merceria Santori, i mobili Grilli, l’abbigliamento da uomo Guidi. Parliamo di quel tipo di negozi che si identificano ancora con il cognome della famiglia che li ha inaugurati e da sempre gestiti; negozi che non hanno generato franchising, che non sono stati acquisiti da altri, di cui si possiedono le mura. Vederne ancora oggi in un’area così centrale della Capitale è qualcosa di piuttosto insolito. In qualunque altra grande città, le veloci e possenti dinamiche del mercato li avrebbero già travolti da tempo. Ma da una ventina d’anni molte aree dell’Esquilino sono immerse in un anomalo torpore commerciale, che si alimenta di vari e particolari fattori locali, impedendone la ‘normalizzazione’ ma anche rallentandone la rischiosa gentrificazione. Questa dimensione spazio-temporale parallela in cui si è rintanata l’anima commerciale del rione ha avuto però l’effetto di conservare, di trascinare oltre la loro naturale scadenza alcuni scampoli di passato quasi integri, di sottrarli all’inesorabile contabilità del mercato. Come le stelle morte da migliaia di anni di cui, da qui, vediamo ancora la luce.
Gli scaffali e le rifiniture d’epoca
custodivano ricordi del nostro passato
Sempre meno numerosi sono stati, negli ultimi anni, i clienti che hanno varcato la soglia di quei negozi storici per comprare qualcosa. Sempre meno, dunque, anche i commessi impiegati. Dietro le casse restavano i proprietari, perché i capitani abbandonano per ultimi la nave e perché tra quelle mura si sono mescolati la vita e il lavoro, la storia della famiglia e quella di un pezzo di città. Si chiude dove si è iniziato, e giù la serranda.
Si respirava la voglia di eleganza e benessere dei due dopoguerra davanti ai banconi art déco di Guidi, in legno di olivo con le modanature in noce, davanti alle mensole in vetro e acciaio, alle confezioni di biancheria dei marchi Perofil o Ragno. Si sentiva il sapore dell’infanzia e dei vestiti fatti a mano tra gli scaffali della merceria Santori, con gli esemplari dei bottoni incollati al bordo delle scatole e le spagnolette di filo esposte in gradazione di colore. Si intuiva l’ambizione di un progetto imprenditoriale di inizio Novecento negli ampi spazi in marmo delle gallerie Grilli, con l’iconico omino dormiente della pubblicità Permaflex congelato negli anni ’60 e i mobili in legno massello made in Italy.
Negli ultimi anni, nel rapporto tra quei negozi e i loro vecchi clienti si è compiuto un graduale travaso di senso: dalla funzione d’uso a quella della nostalgia, dall’acquisto alla contemplazione. La loro resistenza alla sparizione dava ossigeno ai ricordi e agli aneddoti del passato, dava sostanza alla memoria di un luogo per qualcuno oggi irriconoscibile. In una piazza Vittorio che ancora zoppica fra degrado e rinascita, e in cui ad ogni chiusura corrisponde l’incertezza sul dopo, ecco che la nostalgia per ciò che c’era e che non c’è più diventa un umano meccanismo consolatorio, un’àncora identitaria.
In realtà, se utilizzate con abilità e visione, le leve del valore esperienziale, del senso di appartenenza e dell’identità della clientela come comunità di interessi, sono oggi di grande attualità nel settore del commercio. Lo stiamo già vedendo nell’ambito del turismo: nei prossimi anni qualunque negozio sarà spazzato via dall’acquisto online se non saprà aggiungere alla mera vendita del prodotto tutta quella gamma di servizi, di relazioni e di narrazioni capace di attivare la componente emotiva e personale del cliente.
Ancora oggi MAS resta un’icona potente
Un capolavoro inconsapevole è stato, in questo senso, MAS: negli anni duemila, ormai già esausto e fuori tempo, MAS ha saputo trasformarsi in un’icona, smaterializzarsi in una proiezione, in un simbolo, e mobilitare il popolo dei suoi affezionati, sopravvivendo ostinatamente e brillando, ancora oggi che non c’è più, della struggente tristezza delle sue vetrine abbandonate.
Davanti a quelle serrande abbassate e silenziose allora non sottraiamoci al richiamo della malinconia, che è poi la consapevolezza del tempo che passa e delle cose che cambiano e finiscono. Come nel più classico dei finali cinematografici, usciamo da quei locali dando un ultimo sguardo, spegniamo una ad una le luci e chiudiamoci la porta alle spalle. Poi però, con fiducia, continuiamo a camminare in avanti.
Micol Pancaldi