In una tavola rotonda organizzata dal nostro giornale, alcune tra le associazioni più attive sul territorio si confrontano sul tema dell’immigrazione. Ed emergono i tanti nodi critici dell’Esquilino
(Numero 23 – Bimestre gen-feb 2019 – Pagina 1,3,4,5)
È stato già detto e scritto più volte: c’era bisogno di ribadirlo? Forse sì: l’Esquilino, è sotto pressione, sul piano dei servizi, del decoro, della percezione di sicurezza; e lo è da troppo tempo. Questo ci rimandano i rappresentanti di alcune delle associazioni più attive nel territorio: Comitato Piazza Vittorio Partecipata, Esquilino in Comune, Esquilino Vivo, oltre all’Associazione Genitori Scuola Di Donato, il titolare di una delle farmacie che si affacciano su Piazza Vittorio e una giornalista residente. Perché l’incontro, organizzato per discutere di immigrazione, intesa anche come confronto socio-culturale in una zona di Roma nella quale quasi un quarto dei residenti è di nazionalità straniera, fin dalle prime battute per tutti i presenti è diventato una buona occasione per parlare del rione a trecentosessanta gradi. Ed è emersa l’immagine di un territorio complesso, con tante facce; con zone, come quella intorno al mercato, con l’ex Zecca e l’Apollo, che sono considerate dai residenti come “buchi neri”, percepite come insicure, certamente luoghi di spaccio, degrado e microcriminalità. Un rione nel quale una vera e coerente politica per l’integrazione non si è mai fatta. Tenendo conto, anche qui, della complessità, determinata dal fatto che le comunità straniere sono tante e diverse e che all’interno delle stesse ci sono diverse visioni. E, a proposito degli immigrati irregolari, tutti i presenti si sono trovati d’accordo sul fatto che il problema non sono i disperati, stranieri o no, che transitano, bivaccano e vivono per strada, ma il fatto che mancano efficaci interventi sociali. E un minimo di servizi. A partire, banalmente, dai bagni pubblici. Nel mirino dei residenti, l’assenza di interventi da parte dei servizi sociali ma anche la cattiva manutenzione del verde, la spazzatura, la scarsa illuminazione. Ed è forte la richiesta di una vera presenza delle istituzioni, con il ritorno al pieno rispetto delle regole. Da parte di tutti, stranieri e non.
Quei quadranti come buchi neri
Alla tavola rotonda hanno partecipato Esquilino Vivo, Esquilino in Comune, Comitato Piazza Vittorio Partecipata, l’Associazione Genitori Scuola Di Donato, il titolare di una farmacia del rione e una giornalista residente
Il Cielo sopra Esquilino: “C’è stato recentemente un incontro interistituzionale per affrontare le emergenze del rione: avete avuto risposte soddisfacenti?”
“Un territorio molto complesso”. Anna Di Carlo (Esquilino Vivo). Il fenomeno è complesso e io non ne farei una questione legata all’immigrazione. Qui ci sono molti problemi legati al decoro, al commercio, al fatto che non c’è una regola riguardo, ad esempio, alla raccolta dei cartoni da parte dei negozianti, non c’è un censimento delle abitazioni: ci sono nel rione circa ottomila B&B, dove vivono un numero indefinito di persone. Il problema dell’immigrazione è legato alla gestione del fenomeno, all’assistenza sociale. Questi ragazzi sono abbandonati a se stessi: se lo Stato non se ne fa carico, subentra un secondo stato che dà loro lavoro, vengono ingaggiati per attività non lecite. Comunque, la droga c’è e le forze dell’ordine non ci hanno dato una risposta soddisfacente. Senza parlare del problema dell’illuminazione: i giardini, d’inverno, a partire dalle quattro di pomeriggio, sono inaccessibili perché sono al buio.
“Manca la politica”. Giuseppe Longo (titolare della farmacia omonima). Nell’incontro ho detto che abbiamo la peggiore gestione degli ultimi anni, perché manca proprio la “politica”: l’integrazione non si fa a chiacchiere, prevede dei progetti seri che vengano realizzati e che siano seguiti nei risultati. Di tutto questo non si è visto niente negli ultimi tre anni, abbiamo assistito solo ad un rimpallo di responsabilità, dal comune al municipio: le forze dell’ordine fanno un’azione di repressione, anche in questi giorni, portano via un sacco di spacciatori, ma poi tutto resta come prima. Serve un intervento, perché se non c’è una politica sociale che si faccia carico di questa gente che sta lì, che torna a sporcare dove è stato appena pulito, è tutto inutile. Il giardino è bellissimo, la mattina ci sono i cinesi che fanno la loro ginnastica e incuriosiscono i turisti e tutti noi; ma ci sono anche i barboni, che sono sempre gli stessi, senza che ci sia un vigile che intervenga. Il degrado è dato da persone che bivaccano.
“Se non si governa, la situazione diventa esplosiva”. Giovanni Marucci (Comitato Piazza Vittorio Partecipata). In questo dibattito siamo partiti dalla pancia, che non è sbagliato, perché questa è la situazione: peccato che su questa pancia, durante il periodo elettorale, si è costruita una propaganda da parte di gente che nell’immigrazione vede un problema e non un’opportunità. Poi, vanno adottate delle politiche. Nel rione abbiamo una scuola modello (la Di Donato, n.d.r.) nella quale però parliamo ai convertiti: chi vi porta i figli è ben contento di far fare loro un’esperienza multiculturale. Però, per un genitore che porta i figli qui, ce ne sono dieci che non ce li mandano, perché qui trovano bambini di colore. L’Esquilino è ancora un’isola felice, anzi sta sopportando più di quello che avrebbe sopportato qualsiasi altra zona. Noi abbiamo più di 500 mila persone che passano ogni giorno per le nostre strade: è una cosa spropositata. E dove sono le risorse per gestire questa cosa spropositata? Il servizio giardini non esiste più; forse, tra qualche giorno, ricominceranno a ripulire e riqualificare un po’. Dell’Ama non parliamo. Non c’è bellezza, non c’è decoro, c’è solo degrado. Se a questa situazione si aggiungono anche quelli che arrivano e non sanno dove andare, la situazione diventa esplosiva.
“C’è un’involuzione culturale da parte di alcune comunità straniere”. Letizia Cicconi (Esquilino in Comune). Vorrei fare una riflessione, perché la questione dell’integrazione è abbastanza difficile: noi ne possiamo parlare riferendoci a questa scuola, che “ha fatto scuola”. Poi parliamo delle comunità: ce ne sono tante, stanziali, che hanno attività commerciali. I cinesi sono persone benestanti. Alla chiusura dei loro negozi, vanno nei ristoranti italiani, sono elegantissimi, mandano i loro figli alla Marymount, non alla Di Donato. I bengalesi lavorano tutti, non c’è nessuno per strada; molti si trasferiscono a Londra con i loro figli, che fanno studiare in Inghilterra. Quello che ho notato in questi ultimi anni è che, a parte i cinesi che sono stati sempre molto chiusi, prima c’era una voglia di integrarsi che adesso c’è meno. Ho notato da parte delle donne bengalesi, ad esempio, un’involuzione di carattere sociale: prima erano più aperte, ora ne vedo molte completamente velate. Noi non siamo stati capaci di presentare il nostro modello e loro si sentono più protette tornando alle loro tradizioni. Rispetto ai senza fissa dimora, secondo la Caritas, a Roma ci sono 200 posti liberi, su 8000 persone, e lo Stato taglia i fondi. Quanto alla sicurezza, se le persone stanno giorni e giorni per strada, alla fine vengono avvicinate e portate a spacciare. Sul piano del decoro, della pulizia, basti pensare al mercato: non si capisce perché non si faccia nulla perché questo luogo diventi motivo di attrazione invece che di spaccio, povertà, disagio; non c’è nessuno che faccia un controllo. Io l’ho sempre detto: se non riusciamo a risanare quella parte dell’Esquilino, quel buco nero che comprende la ex Zecca, l’Apollo, il ballatoio, noi non andiamo da nessuna parte. Nessun mercato europeo sta in quelle condizioni.
L’Esquilino è diviso in due. Questa cesura si deve riempire e ognuno deve fare la sua parte: il Comune, il Municipio.
“Politiche diverse per diversi soggetti”.Daniela Zampetti (Esquilino Vivo). Io penso che, in primo luogo, ci vorrebbe un lavoro conoscitivo. Gli immigrati non sono solo africani o cinesi, ci sono anche dall’Europa dell’est e questi portano problematiche diverse: bisogna capire quali politiche fare con i diversi soggetti, capirne la composizione, quanti sono, quali problematiche importano dai loro paesi. E poi chiedersi cosa significa integrazione, che non può essere che loro recepiscono i nostri modelli. Devono conservare le loro tradizioni, ma il problema è come conciliarle con le nostre, perché nessuno scompaia nel confronto: su questo, secondo me, non si è lavorato per niente.
Io ho notato che ad eventi come, per esempio, quello organizzato alla Casa dell’Architettura, dove si è parlato di problematiche che si potrebbero condividere, le comunità straniere non ci sono mai. Perché succede? Manca una comunicazione, dei canali, e chi dovrebbe elaborarli? Queste, secondo me, sono problematiche da affrontare, perché fare una politica generica non serve a niente.
Vi posso raccontare cosa accade nel mio “angolo delle Bermuda”, in via San Vito. Da po’ di tempo sono presenti dei georgiani, una comunità strutturata e chiusa, con alcuni soggetti che si ubriacano, spacciano. Da un paio di anni, è comparso, poi, un altro fenomeno: quello di piccole bande di ragazzi molto giovani, composte da italiani, da africani, da afroitaliani e filippini, che, analogamente alle bande nostrane, si dedicano allo sballo, quotidianamente. Fumano, fanno risse. A volte ci sono bambini, minorenni. Anche questo è un fenomeno che non andrebbe ignorato.
Il Cielo sopra Esquilino: “Sarebbe interessante un vostro giudizio riguardo alla percezione da parte dei residenti rispetto agli stranieri di passaggio: secondo voi, si può parlare ancora in termini di accettazione, di tolleranza?”
“È necessario tornare alla legalità”. Anna Di Carlo (Esquilino Vivo). Io penso che questa tolleranza ci sia ancora, siamo tra i più tolleranti di Roma, ma non bisogna confondere i piani, non bisogna avere paura nel parlare di legalità. Noi, come Esquilino Vivo, quando abbiamo cominciato a chiedere che fosse rispettata la legalità, abbiamo creato un movimento, un interesse da parte della stampa, che però ha usato termini forti, dicendo che noi facevamo le “ronde di sinistra”, che è una contraddizione in termini. Secondo me, il rione ha assunto un atteggiamento di intolleranza, ma nei confronti del degrado e della mancanza di gestione dei problemi.
“L’integrazione passa attraverso il lavoro”. Fathia Mansouri (Associazione Genitori Scuola Di Donato). Perché si lascia il proprio paese? Per lavorare o studiare, per cercare un miglioramento. Invece, molti arrivano qui, non trovano lavoro, non trovano niente. Io sono arrivata nel 2000 e le cose sono molto cambiate. Ci sono persone che sono pericolose, si ubriacano e non ci sono controlli, anche nei giardini.
“Occupare gli spazi”. Letizia Cicconi (Esquilino in Comune). Il fatto è che gli spazi devono essere occupati. Nel Natale del 2004, il comune fece installare un tendone riscaldato, con la pista del ghiaccio, c’erano le persone anziane che si fermavano a prendere un tè, poi misero anche la giostra. L’attività durò tutto l’anno. La stessa funzione la svolge il cinema a Piazza Vittorio, che per tre mesi occupa quello spazio in estate. Se la piazza è lasciata nell’abbandono, succede di tutto.
“Il nostro livello di tolleranza”. Corinna Bottiglieri (Comitato Piazza Vittorio Partecipata). Volevo tornare sul tema della percezione, perché a volte mi sembra che noi residenti abbiamo una soglia molto alta di tolleranza: anche io vivo nella zona del mercato, cioè lato “sfigati”. Devo ogni giorno decidere quando tornare a casa, perché, ad un certo punto, c’è il coprifuoco. Insegno al liceo Cavour e rientrando devo attraversare Colle Oppio, passo sul ponticello e proseguo. Mi rendo conto che tanti ragazzi del Cavour evitano Colle Oppio, perché è una zona da tagliare fuori. Io, con grande imprudenza, ci sono sempre passata, ma ora anche io ho cominciato ad evitarlo, almeno quando fa buio. Mi rendo conto che, nella percezione comune, chi vive all’Esquilino è qualcuno che ha qualche rotella fuori posto.
“Una mappatura del tessuto commerciale”. Giuseppe Longo. Io non sono residente, ma, da farmacista, non cambierei mai la zona dove lavoro. E partecipo sempre a queste iniziative. Vi do una notizia: sto partecipando ad uno studio di alcuni professori universitari che vivono all’Esquilino, che stanno facendo una mappatura del tessuto commerciale del rione. Perché un coordinamento del tessuto commerciale ci vuole. Bisognerebbe concordare con le comunità il tipo di commercio che possono avviare, facendo loro capire che questo può migliorare la loro qualità della vita. E anche su questo manca una politica: perché uno studio sulle attività commerciali del rione lo devono fare dei privati? Se non si parte da questo, non sapremo mai chi sono i nostri interlocutori delle varie comunità. Molti locali sono in mano alle mafie. Inoltre, se non c’è un piano di sviluppo commerciale, spariscono le botteghe artigiane.
“Quando era il rione dei vestiti da sposa”. Paola Lupi (giornalista e residente). Sono una residente che si ricorda di quando il nostro era il rione dei vestiti da sposa: quello che vedo è proprio il degrado dal punto di vista commerciale. Io non so se esiste un tavolo per mettere a confronto i commercianti stranieri: ma questi sono disponibili? Io ho la sensazione che non gliene importa proprio niente. Sono distaccati. Quanto alla percezione di insicurezza, io sono tranquilla: quello che mi dà fastidio è il degrado.
“Il confronto tra culture e i progetti persi”. Daniela Zampetti. È esistita, per qualche anno, una manifestazione che si chiamava “Intermundia”, che aveva come base proprio il confronto con le altre culture: il comune l’ha cancellata. Inoltre negli ultimi anni abbiamo perso due progetti di riqualificazione: quello di piazza Vittorio e quello di via Carlo Alberto e vie limitrofe. Che fine hanno fatto i fondi?
Il nostro confronto si chiude qui. Ci scusiamo anticipatamente con i partecipanti, perché, per motivi di spazio, abbiamo dovuto tagliare tanti interventi: sicuramente, abbiamo affrontato diverse tematiche e molte sarebbero da approfondire. Magari, in un prossimo numero del giornale.
Paola Mauti