A nove anni dall’intervista al professor Antonio Parisella, sul numero zero del Cielo, torniamo a via Tasso per conoscere Roberto Balzani, il nuovo presidente del Museo Storico della Liberazione
(Numero 52 – Bimestre mar-apr 2024 – Pagina 5)
Dallo scorso 8 gennaio il Museo Storico della Liberazione ha un nuovo presidente: è Roberto Balzani, professore ordinario di Storia contemporanea presso l’Alma Mater Studiorum di Bologna. Succede al professor Antonio Parisella, che dal 2001 ha guidato con passione lo storico memoriale, sorto nei quattro appartamenti che avevano fatto parte del carcere nazista di via Tasso.
Il cambio di vertici è per noi l’occasione per lanciare uno sguardo sul presente e sul futuro del Museo.
Professor Roberto Balzani, innanzitutto auguri per il suo nuovo incarico. È passato poco più di un mese dalla sua nomina. Che realtà ha trovato?
Il Museo costituisce uno dei luoghi della memoria più significativi del nostro Paese. Ho trovato una realtà viva, attiva, con solide relazioni nel tessuto sociale della Capitale e delle scuole. Certo, l’impianto è ancora molto vicino a quello originale, degli anni Cinquanta e Sessanta, ma in questo consiste anche il suo fascino: le celle furono restaurate a pochi anni dai tragici eventi del 1943-44 e trasmettono ancora al visitatore sensazioni forti e autentiche.
A chi non lo conosce, come descriverebbe la missione del Museo?
La missione è duplice. Da un lato c’è quella propria di un luogo nato per essere un memoriale: di conseguenza, esso deve custodire anzitutto la memoria delle vittime, tanto delle persone che finirono uccise, quanto di quelle che poi sopravvissero. Dall’altro, c’è la funzione connessa alla documentazione, cui il Museo adempie attraverso l’Archivio e la Biblioteca. In questo caso, anche avvalendosi di strumenti di ricerca avanzati, l’Istituto si mette a disposizione degli studiosi e di chiunque cerchi di approfondire le vicende romane ai tempi dell’occupazione tedesca.
Sono passati quasi 80 anni dalla fine della Guerra di Liberazione italiana ma il rapporto col fascismo sembra un tema che il nostro Paese fatica ancora oggi a superare. Perché?
C’è una differenza molto marcata fra la sfera della ricerca, che mi pare da tempo abbia abbandonato le forzature ideologiche per attingere ad una visione storica che indaga e restituisce la complessità di quei mesi, e, dall’altra parte, la sfera della pubblica opinione. La politica tende a sfruttare, soprattutto nell’approssimarsi dei cicli elettorali, la diade fascismo/antifascismo, che è ancora un forte attrattore identitario per alcune generazioni di italiani, forse perché la politica non è in grado di proporne di nuove e altrettanto forti, legate ai problemi del presente. Detto ciò, che l’antifascismo costituisca un pilastro storico e morale della nostra Repubblica e che sia leggibile chiaramente nella Costituzione per me è fuori discussione.
La Memoria della Resistenza è radicata sul territorio esquilino: in via Tasso, nella pensione Oltremare, nelle tante epigrafi commemorative, nelle pietre di inciampo, nelle storie delle sue botteghe e dei suoi abitanti. Può il Museo essere il fulcro della valorizzazione di questa memoria territoriale? O pensa debba svolgere un ruolo di respiro più nazionale?
Io credo che il Museo debba fare entrambe le cose. È intimamente legato alla vita del rione, perché i rioni romani rappresentavano degli aggregati sociali e comunitari molto compatti, nei quali gli avvenimenti si trasferivano senza soluzione di continuità nel vissuto e nel racconto degli abitanti. Però via Tasso è anche il simbolo di una tragedia nazionale ed europea – dalla persecuzione degli ebrei alle Fosse Ardeatine – e deve quindi dialogare pure con gli altri grandi luoghi della memoria creati altrove. Il suo potenziale, da questo punto di vista, è davvero alto.
Forse è un po’ presto per chiederlo, ma ci sono già in cantiere progetti per il futuro?
Per il momento, solo alcune idee. In primo luogo, e debbo dire che il Ministro della Cultura ha dato ampie assicurazioni in merito, occorre ampliare gli spazi, per rendere più confortevole la visita e separare le funzioni amministrative e di studio da quelle di valorizzazione. In secondo luogo, sono sicuramente da aggiornare gli strumenti di fruizione, che sono datati pur conservando un grande fascino. Debbo dire che in questi anni il ruolo del volontariato, a tutti i livelli, è stato decisivo per tenere aperto il Museo: si tratta di una risorsa di energie, morali e materiali, enorme. Occorre preservarlo. Il professor Parisella ha lasciato un organismo che, pur con risorse modeste, è vivo e vegeto: a lui e ai suoi collaboratori debbiamo essere grati. Si parte da questa base. Certo, fare un giorno i numeri della Risiera di San Sabba a Trieste – il luogo della memoria più visitato della seconda guerra mondiale in Italia – sarebbe bellissimo. Ci proveremo.
Davide Curcio