Il tesoro dell’Esquilino

Sepolto per secoli, uno dei più importanti insiemi di oggetti preziosi dell’antichità è oggi esposto al British Museum
(Numero 10 – Bimestre nov-dic 2016 – Pagina 8)

Quando si parla di tesori, si pensa ai pirati, a mappe con una grossa X e a forzieri colmi d’oro e pietre preziose. In realtà quasi mai i tesori dell’archeologia corrispondo a quelli che immaginiamo. Nell’antica Grecia e a Roma venivano nascosti oggetti sia preziosi (in oro, argento, ecc.) sia di valore simbolico (utensili per il lavoro, insegne reali). Le persone nascondevano i propri beni per vari motivi, sperando poi di poterli recuperare.
Per quanto riguarda il mondo romano, sono due le epoche dalle quali sono a noi pervenuti il maggior numero di tesori: la prima età imperiale (di questo periodo abbiamo i tesori nascosti dagli abitanti di Pompei in procinto di abbandonare la città, obliati a causa dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.) e il III-IV secolo d.C., epoca delle prime invasioni barbariche.

Alle falde dell’Esquilino. In epoca tardo antica il nostro era un rione “residenziale” ed ha nascosto per secoli un tesoro molto ricco. Viene ritrovato nel 1793 durante alcuni lavori all’interno dei resti di una domus, che si trovava nelle terre di proprietà del convento delle Religiose Minime. Purtroppo sull’esatta ubicazione della domus le fonti sono molto discordanti: alcuni studiosi affermano che questa si trovasse all’interno del monastero dei Santi Silvestro e Martino, altri sostengono che il monastero fosse quello di San Francesco da Paola, altri ancora affermano che il tesoro venne trovato nei pressi di Santa Lucia in Selci.

Da Roma al British Museum. Del tesoro non solo non si conosce, dunque, l’esatta ubicazione, ma la sua storia è davvero rocambolesca. Dopo la scoperta, gli operai provano a vendere alcuni pezzi, ma il vescovo della Somaglia li scopre, recupera gli oggetti e li fa esaminare da Ennio Quirino Visconti, allora direttore del Museo Capitolino, che li identifica come parti del corredo di una nobile donna cristiana vissuta tra il IV e il V secolo.
Il vescovo, anziché conservare il tesoro, decide di venderlo e di donare il ricavato alle monache. Nei primi mesi del 1794, il tesoro viene venduto come argento a peso al barone prussiano von Schellerscheim, che vive a Firenze. Successivamente il tesoro viene venduto al duca de Blacas, ambasciatore francese presso la corte del Regno delle due Sicilie. Nel 1866 la famiglia de Blacas vende il tesoro – che si è ampliato con oggetti di varia provenienza – e l’intera collezione del duca al British Museum. A Parigi si trova una patera in argento (una coppa usata durante i sacrifici) mentre a Napoli una bottiglia. Ennio Quirino Visconti, tra i primi a studiare il tesoro, redige una relazione in cui cita 25 pezzi in argento. Nel corso del tempo, vari studiosi e storici dell’arte hanno fornito un numero diverso degli oggetti, fino al 1985, quando la studiosa Kathleen Shelton in una pubblicazione ha identificato 27 reperti come sicuramente appartenenti all’insieme. Di esso fanno parte due splendidi cofanetti da toletta, dei piatti, brocche, una bottiglia, monili e finimenti per cavallo.

A chi apparteneva il tesoro? L’identificazione dei proprietari è possibile grazie alle iscrizioni riportate sugli oggetti. Sono tre le persone a cui lo si fa risalire: Proiecta, Pellegrina e Secondo, membri della famiglia dei Turci, vissuti in epoca tardo imperiale. Proiecta, il cui nome è inciso su uno dei due cofanetti, potrebbe essere identificata con l’aristocratica di cui parla Papa Damaso in un epitaffio e che morì nel dicembre del 383. Sullo stesso cofanetto sono incise due figure, un uomo e una donna, che potrebbero essere, secondo una delle ipotesi più recenti, la stessa Proiecta e suo marito Turcio Secondo. Altri oggetti del tesoro sarebbero appartenuti a Pellegrina e, forse, a suo marito Turcio. La datazione del tesoro è compresa tra un arco temporale che va dal 350 al 380 d.C. Gli oggetti vennero probabilmente nascosti a causa del sacco di Roma, compiuto da Alarico nel 410 d.C.
Il tesoro è noto non solo per la straordinaria quantità di reperti, ma anche per l’iconografia usata su alcuni di essi. Il cofanetto di Proiecta, ad esempio, oltre ad avere scene di toletta di una matrona romana, presenta scene e personaggi pagani, Venere circondata da amorini.

[BOX]
I pezzi originali del Tesoro dell’Esquilino sono conservati al BritishMuseum.
Le copie del cofanetto delle Muse e del cofanetto di Proiecta, assieme alle copie dei due piatti, conservate presso il Museo della Civiltà Romana in piazza Giovanni Agnelli 10, sono state recentemente esposte durante la mostra “Made in Roma”, tenuta dal 13 maggio al 20 novembre 2016 ai Mercati di Traiano – Museo dei Fori imperiali.

Antonia Niro