Nei locali sotterranei di piazza Vittorio, c’era il ‘cervellone elettronico’ che guidava le metro di Roma
(Numero 24 – Bimestre mar-apr 2019 – Pagina 2)
Nel giardino di piazza Vittorio, alle spalle delle giostrine, spostata verso via Ricasoli, c’è una collinetta. Accanto ci sono basse costruzioni: una gradinata, una parete in tufo, sedili in travertino. Dalla cima della collinetta, un po’ spelacchiata, si rotolano i bambini più grandicelli che non stanno nell’angolo dei giochi lì accanto. La collinetta è artificiale: è la copertura di locali che per anni hanno ospitato la Centrale di Comando del Traffico della metropolitana, che passa poco distante. Un piano sotterraneo di 48×21 metri, cioè 1008 mq, che per anni è stato la sede della DCO: Dirigenza Centrale Operativa.
Un cervellone sotto terra. I treni della metropolitana non hanno interferenze con il traffico di superficie, corrono al buio e i conducenti vedono la luce solo in corrispondenza delle stazioni. Guidare al buio, col rischio di poter tamponare il treno davanti o essere tamponato da quello che segue, presuppone una grande fiducia nei segnali di linea e nella guida automatica della velocità da tenere. A questo e ad altro provvede il DCO. Un guasto al DCO significa fermare la metro per giorni. La collinetta nascondeva proprio questa importantissima Centrale Operativa.
Gli ‘anni di piombo’. La metro A è stata aperta alle 5,14 del 16 febbraio 1980. La fine degli anni ’70 e i primi degli ’80, furono terribili per il terrorismo e per lo sviluppo della strategia della tensione. Il sindaco Petroselli e tutti i dirigenti della Metro erano preoccupati da due tipologie di ‘incidenti’: la possibilità di un attentato in una stazione metro e quella di un attentato al cervellone del traffico, che stava sotto la collinetta di piazza Vittorio. Al primo rischio si provvide aumentando la sorveglianza e con una campagna di responsabilizzazione dei romani. Per rispondere al secondo si pensò ad accelerare al massimo i lavori della messa in sicurezza dei locali del DCO. I lavori erano stati valutati dall’Ufficio Stime del Comune di Roma in circa 60 milioni di lire e messi a gara, la quale, però, andò deserta. Anche una seconda e una terza gara andarono deserte, perché la valutazione del costo fatta dalle ditte era di circa 100 milioni di lire. Rifare la gara con altre stime avrebbe comportato tempi lunghi e pieni di incertezze. In quell’epoca ero nello staff del sindaco, proprio per i problemi del traffico. Mi chiamò Petroselli e mi disse di risolvere il caso.
Con una lira in più. Con molte telefonate e l’aiuto dei tecnici del Comune e della Metro si trovò il codicillo che permetteva di affidare i lavori in maniera diretta, dopo la terza gara andata deserta, a quella ditta che avesse presentato un’offerta pari a quanto stimato dal Comune maggiorato di ameno 1 (una) lira. Chiamai l’Intermetro, la ditta che aveva fatto i lavori per tutta la linea A. La risposta fu: “Ci perdiamo 40 milioni di lire, ma se lo chiede il sindaco, non possiamo dire di no”.
Andai a dirlo a Petroselli. Stava mangiando nel suo ufficio al Campidoglio mentre guardava una partita alla televisione. Gli dissi che i lavori si sarebbero potuti fare e che gli avevo fatto regalare 40 milioni. Lui divenne pallido, l’atmosfera di ghiaccio, il sole che entrava dal balconcino non scaldava abbastanza e mi sembrò che anche la televisione si fosse ammutolita. Sibilò: “Cosa vuoi dire?”. Allora mi spiegai: i soldi non erano per lui, ma per la città di Roma. Si rasserenò e disse “Chiamali subito”. Alle 15 la società Intermetro era a prendere il caffè dal sindaco.
Un guscio svuotato. Il Centro Operativo rimase sotto la collinetta di piazza Vittorio fino a fine secolo, quando il Cervellone fu spostato. I locali, dopo lavori di ripristino, furono chiusi e tali sono ancora.
La speranza che fossero dati in uso ai cittadini si è riaffacciata qualche giorno fa, quando la sindaca Raggi ha parlato di dismissione di immobili ATAC. Ma guardando meglio ci si accorge che si riferiva agli immobili della delibera comunale n. 39 del 25 giugno 2011, secondo la quale l’operazione di far cassa andrebbe conclusa entro il 2020! Ecco quindi le ragioni di tanta fretta, altrimenti salta tutto!
E allora, povera collinetta, guscio svuotato di attività, tensioni e lavoro! Chissà quando potrai tornare a essere bene comune degli Esquilini?
Carlo Di Carlo