Il patrimonio comunale dell’Esquilino: un tesoro nascosto e male utilizzato
(Numero 14 – Bimestre lug-ago 2017 – Pagina 1,4,5)
Sono quasi 50.000 le unità che costituiscono il patrimonio immobiliare del Comune di Roma. Se a queste poi aggiungiamo tutti i locali e gli immobili di proprietà delle municipalizzate il numero sale ancora di parecchio. Del fatto che questa enorme risorsa sia mal gestita se ne parla da tempo. Pur sorvolando sulle varie “affittopoli”, spesso gonfiate e cavalcate dalla stampa, sono note le difficoltà che il Comune incontra anche solo a censire i propri beni. Le informazioni pubblicate sul sito istituzionale variano ad ogni aggiornamento senza motivo apparente e, oltre ad essere palesemente parziali e piene di omissis, sono a volte anche discordati con la stessa realtà del territorio. In una recente esternazione sui social, l’assessore comunale al Bilancio Andrea Mazzillo ha affermato che da “settembre si procederà al completamento del censimento degli immobili comunali”, sicuramente un valido proposito, ma a legger tra le righe se ne deduce anche che al momento le attività in merito non stanno quindi andando avanti.
Una via di proprietà comunale. Nel nostro rione la presenza di edifici comunali, anche se poco visibile, non è affatto trascurabile, in particolare nella zona più vicina a Termini dove il Comune, per ragioni storiche, è proprietario di una buona parte di Via Giolitti. Nel 1939, infatti, i lavori di ampliamento della Stazione Termini progettati da Angiolo Mazzoni prevedevano anche il raddoppio della via (che ai tempi aveva il nome di viale Principessa Margherita) attraverso la demolizione della prima fila di edifici che vi si affaccia. Partirono quindi gli espropri e fu avviata anche la demolizione del primo palazzo, quello tra Via Gioberti e Via Manin, di cui ancora oggi è rimasto solo il piano a livello stradale. Poi arrivò la guerra ed i lavori furono interrotti. A guerra conclusa il progetto fu naturalmente rivisto, sia con un nuovo concorso per la facciata principale della stazione, sia con l’abbandono delle modifiche a Via Giolitti. Del progetto di Mazzoni restarono solamente le due ali che ancora oggi caratterizzano la stazione ai suoi lati. E restarono anche al comune buona parte dei locali espropriati, decine e decine di negozi e appartamenti.
La visione che non c’è. Sarebbe bastato un minimo di visione politica e progettuale per mettere a frutto quel patrimonio trasformando il destino della via. Invece tutto è proseguito, per inerzia, fino ai nostri giorni ed è così successo che i luoghi dove la presenza pubblica era maggiore sono diventati oggi quelli più critici in termini di sicurezza. Sono infatti di proprietà comunale tutte le attività commerciali che incontriamo appena usciti dalla Galleria Termini. C’è il McDonald’s, negozi di souvenir, di scarpe, di telefonia, ci sono minimarket, bar e pizzerie. Tutte attività che di istituzionale hanno ben poco. Come pure danno ben poco in termini di affitto, visto che i canoni di locazione sono molto al di sotto di quelli di mercato, arrivando anche ad importi inferiori ai 1.000€ mensili. Nulla per un locale in quella posizione.
Sono di proprietà comunale anche buona parte dei locali commerciali e numerosi appartamenti situati sui ballatoi all’altezza di via Cappellini, altro punto critico di via Giolitti. In questo caso, oltre a trattarsi di una zona meno commerciale, in minima parte i locali sono stati destinati ad attività associative, con la presenza di un Caf e della Casa dei Diritti Sociali.
In tutto sono quasi 150 gli appartamenti del Comune negli edifici che danno sulla via. A volte in condomini eleganti, a volte in stato di abbandono, ma sempre con affitti che difficilmente superano i 200€ mensili. Cifre giustificabili solo nel caso stessimo parlando di edilizia popolare, ma è invece molto più probabile che si tratti di importi stabiliti decine di anni fa e mai attualizzati. Inoltre, le numerose insegne di B&B visibili accanto ai citofoni lasciano anche pensare alla possibilità che qualcuno degli inquilini subaffitti.
Gli utilizzi possibili. Ciò che è certo è che una qualsiasi buona amministrazione avrebbe di sicuro saputo utilizzare meglio i suoi beni, i nostri beni. In una zona come la Stazione Termini quegli spazi avrebbero potuto, ad esempio, essere assai utili per offrire servizi ai turisti. Magari avrebbero potuto anche evitare al Comune di pagare un oneroso affitto a Grandi Stazioni per il piccolo box dell’ufficio turismo che si trova all’interno dell’ala mazzoniana, in un punto certamente meno visibile rispetto alle sue proprietà. O magari, se proprio l’utilizzo doveva essere quello commerciale, avrebbero potuto essere richiesti dei canoni analoghi a quelli applicati, sempre da Grandi Stazioni, dall’altro lato della strada, di gran lunga più elevati. Sarebbero state somme certamente utili, specie se utilizzate per la manutenzione, visto che gran parte del patrimonio giace in stato di completo abbandono, basti vedere le condizioni dell’ex Cinema Apollo, poco più avanti nella stessa via.
Una curiosità tra le tante. Spulciando gli elenchi delle concessioni, ogni tanto qualche curiosità la si scorge. Ad esempio, fino al 2015 l’Ambasciata della Repubblica d’Egitto pagava al Comune di Roma un canone annuo di 51,65€ (4,30€ al mese) per la splendida palazzina di tre piani dove ha sede il suo ufficio culturale, in Via delle Terme di Traiano, con l’ingresso comune con il parco di Colle Oppio. Purtroppo non sappiamo se da allora le cose siano variate o meno, visto che quest’anno l’informazione non è stata messa a disposizione dal Comune. Non sappiamo nemmeno se un prezzo così basso sia frutto della negligenza comunale e non piuttosto di accordi tra Ambasciata d’Egitto e Stato italiano. Certo è che, se anche alla base vi fossero accordi internazionali tra i due Paesi, sarebbe comunque più corretto che i costi collegati venissero sostenuti dal ministero degli Esteri e non dal comune di Roma, e quindi dai suoi cittadini.
Le fortunate eccezioni. A cercar bene qualche buona pratica in zona però la si trova: l’ex ufficio di igiene di via Merulana, affidato alla Fondazione Cerasi che lo ha recuperato e presto lo aprirà al pubblico come museo privato. Oppure l’Acquario Romano che dal 2003, dopo esser stato restaurato, è divenuto Casa dell’Architettura ed è gestito da una società congiunta creata dal Comune assieme all’Ordine degli Architetti, garantendo in questo modo sia la tenuta in buono stato dello stabile, sia il suo utilizzo per eventi aperti al territorio e utili alla cittadinanza.
Poca attenzione alla pubblica utilità. Solo una minima parte dei locali comunali sono però assegnati “in concessione” anziché in affitto, meno del 2% del totale. Questa quota include tra l’altro al suo interno anche alcune aree di servizio (es. riservate a forze armate, AMA o ACEA) o attività commerciali (es. distributori di carburante). Gli spazi concessi ad enti o associazioni, culturali, sportive e con finalità sociali, sono quindi irrisori. Tra l’altro non vengono affatto incentivati, anzi. Da un paio di anni il dipartimento Patrimonio, pressato da un’indagine del Procuratore della Corte dei Conti Guido Patti, non ha fatto altro che inviare ad Onlus ed associazioni intimazioni di sgombero e comunicazioni di applicazione dei canoni di mercato. Siamo quindi al paradosso di un comune che pretende da enti ed associazioni senza scopo di lucro quei canoni che non ottiene né richiede agli esercizi commerciali.
Lotte nei tribunali e danni erariali. Quando la richiesta di un maggior canone arrivò alla nostra associazione, “Il Cielo sopra Esquilino”, decidemmo di non avventurarci in beghe legali e riconsegnammo quella che era la nostra unica sede. Tante altre associazioni invece hanno resistito a suon di ricorsi al Tar, di cui pian piano stanno arrivando gli esiti che spesso danno loro ragione. Più importanti su tutte, sono però arrivate lo scorso 18 aprile le prime sentenze della Corte dei Conti che, smentendo proprio la tesi del Procuratore Patti, hanno sancito il diritto degli uffici comunali a concedere canoni agevolati in cambio di servizi offerti alla cittadinanza, anche nei casi in cui la concessione fosse scaduta o mai formalizzata. “La scadenza del termine senza che fosse intervenuta la concessione definitiva o senza che la stessa fosse stata rinnovata non cambia la natura del bene e la sua utilizzabilità alle stesse condizioni agevolate attuate con il provvedimento originario con conseguente impossibilità di praticare, per esso, un prezzo di mercato”, così la sentenza ha assolto i cinque funzionari sotto accusa, almeno per quanto riguarda il danno erariale. Allo stesso tempo, infatti, ha anche evidenziato le mancanze avvenute nella regolarizzazione delle concessioni negli ultimi 10 anni, causate principalmente per responsabilità degli stessi uffici comunali. Il dipartimento Patrimonio sarà comunque costretto a rivedere completamente la sua politica e si spera torni a breve ad occuparsi di regolarizzare e assegnare gli spazi che altrimenti rimarrebbero inutilizzati.
Allo stato attuale, infatti, sembra che il vero danno erariale l’abbia provocato proprio l’indagine della Corte dei Conti. In questi mesi il Comune non solo ha perso gli affitti che percepiva dai soggetti sfrattati, non solo ha perso le attività sociali e culturali che venivano erogate dalle associazioni, ma gli stessi locali liberati versano ormai in stato di abbandono. E privi di qualsiasi attività di manutenzione, andranno incontro ad un rapido deterioramento.
Riccardo Iacobucci