Parla Mario Martone. Il film in lavorazione, i progetti cinematografici e teatrali in calendario. E la bellezza ‘un po’ straniata’ del rione
(Numero 31 – Bimestre giu-lug 2020 – Pagina 3)
Mario Martone è un grande artista pluripremiato, la cui opera spazia dal teatro al cinema, all’opera lirica. Ha sempre alternato l’impegno cinematografico con quello teatrale, diventando direttore del Teatro Argentina di Roma e del Teatro Stabile di Torino, nonché condirettore del Teatro Stabile di Napoli. In questi tempi di isolamento forzato da coronavirus, abbiamo dovuto optare per uno scambio ‘non in presenza’, ma ugualmente ricco di stimoli; e di ciò lo ringraziamo.
Nonostante il suo grande amore per Napoli, ad un certo punto ha deciso di trasferirsi a Roma: quali le motivazioni di questa scelta? E perché proprio l’Esquilino?
Ho casa a Roma dall’inizio degli anni ’90 ma è da quando sono stato direttore del Teatro Stabile di Roma (per due anni, 1999/2000) che il corpo a corpo con la città mi ha fatto romano, oltre che napoletano. Amo vivere a Roma, e da una quindicina d’anni sono di casa intorno a piazza Vittorio. Tante le ragioni: la bellezza un po’ straniata del quartiere, tra antichità romane, vestigia sabaude, treni e binari, un luogo che scorre nel tempo invece che esservi inchiodato. C’è qualcosa di vivo, c’è l’aria buona del colle, e ci sono tanti amici cari.
Nell’Edipo Re all’Argentina ha messo in scena un coro di immigrati presi dalla strada. Cosa pensa della non facile questione dello stare a contatto con gente diversa, che è anche una caratteristica del nostro rione?
Era proprio il 2000, l’anno del giubileo, quando misi in scena l’Edipo Re, e già allora la questione delle migrazioni e dell’accoglienza mi sembrava essere il centro di ogni discorso futuro. Non mi sbagliavo, e infatti mi piacerebbe riprendere quello spettacolo prima o poi. Anche la presenza delle comunità che vengono da lontano fa parte delle caratteristiche vive dell’Esquilino, di un luogo che scorre e non si inchioda nel tempo. Ho sempre amato l’eleganza dei nostri concittadini indiani o del Bangladesh, che la domenica si vestono a festa come ricordo si faceva da noi fino agli anni ’70. C’è una grande dignità in tutti loro, e per quanto mi riguarda una bellezza nel vivere a contatto con persone di cultura diversa. Non mi nascondo i problemi, naturalmente. Sono i problemi che vive più complessivamente Roma da tanti anni e che, in un quartiere di confine, peraltro vicino alla stazione, come l’Esquilino, si estremizzano. Sono problemi di cura della città. Abbandono, paura, rassegnazione, pigrizia non fanno mai bene, in una famiglia, in un’azienda, in una qualunque collettività, come potrebbero non far danno in un quartiere?
Nei suoi lavori è molto presente la dimensione umana dei singoli personaggi, ma nello stesso tempo l’attenzione viene posta anche al contesto storico-sociale. Ci potrebbe spiegare meglio i motivi di questo intreccio?
Quando affronto una storia da raccontare, che sia al cinema, o in teatro, non riesco a vedere i miei personaggi scontornati dal contesto collettivo in cui vivono. Forse per questo amo la tragedia greca: non c’è grande personaggio destinato a fondare i miti individuali con cui ci confrontiamo ancora oggi (da Edipo a Medea) che non sia stato scolpito dai quei grandi poeti al centro della polis. E questo crea poi dinamica nei lavori, articolazione, complessità dei punti di vista, soprattutto vita. Allo stesso modo amo creare gruppi, sempre, in ogni contesto. Che sia un set o una compagnia, quello che provo a fare è animare uno spirito collettivo. Ci si conosce e si cresce nella relazione. Si fanno scoperte inaspettate nella relazione.
Nel film che sta girando metterà in scena la figura del celebre Eduardo Scarpetta. Quali aspetti della sua vita hanno suscitato di più il suo interesse?
Beh, sarà una scoperta molto speciale per lo spettatore, un intreccio familiare che non potrà lasciare indifferenti, ma aspettiamo che sia il film a mostrarlo. Di sicuro, quanto a collettivo, quello di Scarpetta è stato parecchio straordinario, se si pensa che ha originato geni del calibro di Eduardo, Titina e Peppino De Filippo.
La recente e grave epidemia del coronavirus, ha creato problemi alla sua attività professionale? Con la fine del lockdown e la ripresa delle attività economiche quali scenari prevede per la ripresa del cinema e del teatro?
Abbiamo finito giusto in tempo prima del lockdown le sei settimane previste di riprese invernali, quindi per il film siamo stati abbastanza fortunati. Le due settimane estive si gireranno appena sarà possibile, spero presto. Avevo in calendario un’opera alla Scala di Milano che in questi giorni avrebbe dovuto essere in scena ma purtroppo è saltata. Dobbiamo sapere che davanti a noi si profila un autunno/inverno difficile, nel quale dovremmo essere capaci di lavorare al meglio nonostante le limitazioni, ma poi speriamo che con la prossima primavera il virus voglia abbandonarci, dandoci la possibilità di riaffollare finalmente i cinema e i teatri.
Maria Grazia Sentinelli