Valeria Ciai, dirigente dell’Istituto comprensivo Manin, ci parla dei problemi e delle potenzialità dell’istruzione pubblica: oggi, le nuove sfide sono l’innovazione tecnologica e il multiculturalismo
(Numero 22 – Bimestre nov-dic 2018 – Pagina 4)
L’Istituto comprensivo Manin è considerato nel rione una scuola a forte valenza educativa, caratterizzata da una grande apertura al territorio. Con la dirigente Valeria Ciai, ci siamo confrontati su alcune tematiche che riguardano la didattica, in particolare in istituti a forte componente multietnica.
Quali sono, secondo lei, i principali problemi che andrebbero affrontati per dare una migliore offerta formativa agli studenti?
I problemi della scuola italiana sono particolarmente sentiti nelle scuole “di frontiera” come la nostra. In particolare, gli edifici scolastici devono essere accoglienti, inclusivi e, soprattutto, sicuri. L’adeguamento alle normative di sicurezza delle scuole, per cui è competente il Comune, vanno a rilento, anche se nel nostro Municipio, ed in particolare per la Manin-Di Donato, è previsto un cospicuo stanziamento. Il problema degli organici, invece, è legato soprattutto alle conseguenze dell’assunzione e dei successivi trasferimenti e assegnazioni provvisorie di personale docente proveniente da altre regioni. Questo si riflette molto sul nostro istituto e comporta una continua instabilità nel corpo docente che non fa bene alla didattica e all’identità della scuola.
Secondo la sua opinione, attraverso gli anni c’è stato un miglioramento o un peggioramento nel livello di competenze raggiunto dagli studenti?
Le competenze richieste ai nostri allievi sono in continuo mutamento, ma non direi che siano peggiorate. Sicuramente sono cambiate, perché è cambiata la società e viviamo nel mezzo di una transizione epocale dovuta ad innovazioni tecnologiche incalzanti, che coinvolgono le vite di ciascuno. La scuola sembra faticare a seguire queste innovazioni. Nonostante ciò, costituisce sempre più spesso un necessario ed insperato argine, che con il tempo si rivela vincente. Continuo ad avere fiducia nella qualità della scuola italiana.
Da che derivano secondo lei, gli episodi di bullismo che si verificano nelle classi? Cosa può fare la scuola per contrastarli?
Il bullismo è sempre stato una componente delle aggregazioni umane. Ma la scuola ha costantemente reagito, con l’educazione e l’insegnamento delle regole. Il contrasto al bullismo è stato ed è tuttora l’anima della missione educativa della scuola. Il vero problema oggi è dato della possibilità di pubblicizzazione degli episodi: un video “postato” in rete raggiunge potenzialmente in pochi secondi due miliardi di persone e non conosce oblio, con gravi conseguenze sulla vita della vittima.
Esquilino è un rione a forte presenza di studenti residenti stranieri ed è nota la capacità di integrazione sociale della vostra scuola. Secondo lei, la capacità di stringere relazioni amicali con alunni provenienti da vari paesi del mondo quando si è alla scuola primaria e forse anche alle medie inferiori, riesce a generare comportamenti solidali anche per il futuro o, come dicono alcune ricerche, questa coscienza sociale si perde nella scuola superiore e quando si diventa adulti?
Credo che siano vere entrambe le cose. I rapporti amicali costruiti nell’infanzia e nella prima adolescenza plasmano e consolidano capacità umane di solidarietà ed accoglienza che durano per tutta la vita. Però, le possibilità che la società italiana offre a chi proviene da famiglie mediamente agiate rispetto a chi proviene da famiglie migranti porta nel tempo ad una divisione netta, che nella scuola superiore si misura con le basse percentuali di studenti stranieri nei licei classici e scientifici, che continuano ad essere il bacino privilegiato di passaggio alle Università e quindi all’accesso a professioni più prestigiose. Data questa oggettiva biforcazione, noi ogni giorno proviamo a superare questo stato di cose.
Per finire, quanto è aumentata la presenza dei ragazzi non italofoni nella vostra scuola? E questo ha causato maggiori difficoltà nell’ insegnamento?
La presenza di studenti non italofoni è rimasta sostanzialmente stabile negli ultimi anni con dati che si attestano tra il 30 e il 50%. I problemi principali riguardano gli studenti che arrivano durante l’anno scolastico direttamente dai paesi d’origine e non parlano assolutamente l’italiano. Ma anche molti studenti che sono in Italia da qualche anno continuano ad avere difficoltà nella lingua che ritardano l’apprendimento, soprattutto di alcune discipline. A tal fine, nella scuola sono sempre attivi progetti per l’insegnamento dell’Italiano come seconda lingua, grazie ai finanziamenti ministeriali, regionali ed europei destinati alle scuole situate in aree a forte processo immigratorio. Ma oltre a ciò, la scuola vive di continue collaborazioni con associazioni del terzo settore che, con i loro volontari, svolgono un ruolo fondamentale nel nostro Istituto. Abbiamo, poi, l’apporto straordinario dell’Associazione Genitori che costantemente e nel quotidiano opera per l’inclusione degli alunni non italofoni.
Per quanto riguarda l’impatto che la presenza di studenti non italofoni può avere sullo svolgimento dei programmi e sull’acquisizione delle necessarie competenze da parte di tutti gli alunni, direi che la cura che i docenti mettono nel salvaguardare i diritti di ciascuno ha fatto sì che finora la positività dell’inclusione sia stata preponderante rispetto ad eventuali “ritardi”. Ciò è attestato anche dagli ottimi risultati che i nostri studenti conseguono nelle scuole superiori.
Maria Grazia Sentinelli