L’intelligenza umana ha dato alla luce una figlia ancora un po’ immatura ma che potrebbe sostituirci in molti lavori che prima erano considerati preclusi ai sistemi artificiali
(Numero 51 – Bimestre gen-feb 2024 – Pagina 2)
Stavo in fila davanti la Posta di Piazza Dante, in attesa di ritirare la solita multa per divieto di sosta, e si parlava con gli altri vicini. Banalità e luoghi comuni: un caldo così è strano per questa stagione, in questo ufficio gli impiegati sono proprio lenti, certo la città è sporca, e non c’è un bagno per fare pipì e via dicendo.
A una elegante signora, in fila anche lei, domandai se fosse della zona. Mi rispose che si chiamava Intelligenza e che viveva qui, insegnava ai robotti, presso la sede della facoltà di Ingegneria di via Ariosto.
Negli anni ’60, la signora Intelligenza aveva passato anni turbolenti: tutti volevano le sue misure, e come nei concorsi di bellezza, tanto di altezza, di seno, di vita, di fianchi, così ciascuno voleva sapere il proprio Qi (Quoziente d’intelligenza). A seconda dei risultati che si ottenevano, svolgendo i test proposti da libricini dozzinali, si passava da euforia a depressione. Ma in generale i risultati erano abbastanza soddisfacenti, e tutti erano contenti. Qualcuno però utilizzava i test per escludere i candidati a certi lavori di prestigio o ad avanzamenti di carriera, adducendo a giustificazione un basso Qi.
Sin da giovanissima la signora Intelligenza aveva sempre avuto molti corteggiatori che l’adulavano come se fosse unica. Tuttavia, negli ultimi anni molti sostengono che avrebbe alcune sorelle. Le ‘intelligenze’, quindi, sarebbero tante. Addirittura nove secondo Howard Gardner: logico-matematica, linguistica, spaziale, musicale, cinestetica, interpersonale, intrapersonale, naturalistica, filosofico-esistenziale.
Sebbene fosse un animo libero ed etereo, qualcuno un giorno pensò che lei dovesse sposarsi con il signor Lavoro-Robot, (il termine ‘robot’ deriva direttamente dal cèco ‘robota’, nel senso di ‘lavoro servile’, ‘servizio della gleba’, ndr) rendendo finalmente anche lui intelligente.
E proprio qui vicino, in via delle Sette Sale, presso la facoltà di Ingegneria, Antonio Ruberti, accademico e ingegnere italiano rettore della Sapienza dal 1976 al 1987, ministro per la Ricerca scientifica e tecnologica e commissario europeo, si è dato parecchio da fare per coniugarla, attraverso i suoi studi sui controlli automatici. Da questo connubio un po’ forzato col signor Lavoro-Robot nacquero i robottini e quindi, non molto tempo fa, una figlia che ancora oggi è un po’ immatura: l’AI, Artificial Intelligence o, in italiano, Intelligenza Artificiale.
Questa AI si è fissata di dover rendere intelligenti le macchine, ossia di ‘sviluppare sistemi di calcolo e di tecnica capaci di eseguire compiti che normalmente richiedono l’intervento umano’, compiti che addirittura includono ‘l’apprendimento, il ragionamento, la percezione, la comprensione del linguaggio naturale e la capacità di creare cose’. Insomma, creare macchinari e programmi di computer in grado di trattare tantissime informazioni e di fare persino sintesi e previsioni.
Una macchina sempre
affamata di informazioni
Il desiderio di conoscere il futuro è alla base di tanti romanzi e delle attività di maghi e indovini. Con l’AI queste attività si baseranno su rigide regole tecniche e di calcolo: le previsioni saranno tanto più accurate quante più informazioni avremo. Può darsi quindi che con l’aiuto della AI potremo avvicinarci a risultati molto attendibili.
Per rimanere con i piedi per terra, fin da ora con l’AI si possono fare cose che prima avremmo dovuto fare per forza noi esseri umani: per esempio sviluppare un argomento complesso o scrivere alla maniera del nostro autore di fantascienza preferito.
L’AI potrebbe anche scrivere gli articoletti del nostro giornalino, e così noi non scriviamo più niente.
Carlo Di Carlo