Il più orientale dei sette colli agli albori della sua storia era un luogo di sepoltura
(Numero 1 – Bimestre mag-giu 2015 – Pagina 5)
Morfologia articolata. Più che un colle isolato, l’Esquilino costituiva un sistema collinare molto vario, formato da alcune propaggini sommitali – Oppio a Sud, Cispio a Nord-Ovest e Fagutal a Sud-Ovest – con pareti scoscese, dirupi impervi e da un pianoro degradante verso Est, interrotto da avvallamenti più o meno profondi, solcati in parte da ruscelli e flussi d’acqua. Nell’antico Lazio protoromano, questi costituivano percorsi obbligati che collegavano Roma con gli altri centri latini posti ad oriente, come Gabi, Preneste e Tibur. Uno di questi, che si originava verso Sud-Est (dove oggi insiste la parte nord-occidentale di piazza Vittorio Emanuele II), si allargava ad oriente lungo due vallecole, giungendo poi nella zona dell’attuale Porta Maggiore, per divaricarsi ancora lungo quelle che diventeranno via Prenestina e via Labicana. Percorsi antichissimi lungo i quali, sin dalla fine del IX secolo-inizio VIII secolo a.C., i primi abitanti di Roma vennero a depositare i loro morti nei sepolcri scavati nel tufo vergine e poi ricoperti di schegge dello stesso materiale, iniziando una tradizione che continuerà, pur con riti funerari via via sempre diversi, sino agli ultimi anni della Repubblica.
Punto di collegamento. Il re Servio Tullio, nel VI secolo a.C., inserisce parte dell’Esquilino all’interno della cinta muraria e poiché dalla città bassa, vicino al Tevere, attraverso il quartiere della Suburra – lungo la valle che separa l’Esquilino dal Viminale (sull’asse dell’attuale via dei Selci) – giunge il Clivus Suburanus, vi apre la Porta Esquilina (l’attuale Arco di Gallieno) per riconnettersi ai percorsi che conducono ai territori extramoenia: la via Tiburtina-Collatina ad Est, la via Labicana-Prenestina a Sud-Est, la via Merulana, a Sud.
Si consolida, quindi, la pratica di seppellire i morti extramoenia sicché al di là delle Mura e della stessa Porta Esquilina si viene a creare nel tempo una necropoli, un’area di sepoltura molto frequentata – il Campus Esquilinus – che caratterizzerà tali luoghi per molti secoli.
Gli ultimi anni della Repubblica. Prima della bonifica di Mecenate (68-8 a.C.), nell’area insiste uno squallido e malsano sepolcreto, per schiavi, mendicanti e prostitute che trovano in fosse comuni la loro sepoltura, delimitato da cippi che, per l’editto del pretore urbano Lucius Sentius, ricordano il divieto di seppellire i morti all’interno dell’area cinta dalle Mura Serviane.
Carmelo G. Severino