Funzionale, decorativo, agricolo: si deve al papa Benedetto XIV la realizzazione dell’attuale viale Carlo Felice, il terzo dei viali ‘sistini’ che collegano tra loro le grandi basiliche della cristianità, caratterizzando tuttora il territorio esquilino
(Numero 40 – Bimestre mar-apr 2022 – Pagina 9)
Gregorio XIII Boncompagni (1572-1585), in occasione del Giubileo del 1575, aveva fatto realizzare via Merulana nuova (allora via Gregoriana) per collegare in linea retta le basiliche di San Giovanni in Laterano e di Santa Maria Maggiore.
Sisto V Peretti (1585-1590) ne aveva ripreso il disegno, inserendolo in un più ambizioso progetto urbanistico, il ‘piano sistino’, con una croce di strade diritte che poneva la basilica di Santa Maria Maggiore al centro di un simbolico sistema stellare. Aveva poi fatto realizzare la via Felice, l’asse che collegava ‘per retta via’ la basilica liberiana con la basilica di Santa Croce in Gerusalemme.
Restava da realizzare il collegamento diretto tra le basiliche di San Giovanni in Laterano e di Santa Croce in Gerusalemme – l’orografia dei luoghi ne sconsigliava l’attuazione – che per secoli restarono collegate da una tortuosa via che dalla Scala Santa, curvando sino a Porta Asinara, piegava a sinistra per proseguire, poco più che un sentiero campestre, lungo le Mura Aureliane, verso la basilica sessoriana.
Salito al soglio di Pietro, Benedetto XIV Lambertini (1740-1758), per l’amore che porta verso la basilica di Santa Croce in Gerusalemme – della quale è stato cardinale titolare – ordina che questa venga ‘interiormente rinnovata e abbellita ed esteriormente ornata e nobilitata con maestoso portico e facciata’.
Per ‘maggior decoro e magnificenza’ dispone l’apertura, nel 1741, di uno stradone rettilineo fiancheggiato da alberature, ‘per il pubblico comodo’ non meno che per ‘l’ornamento di Roma’. Vi fa infatti piantare 64 olmi e 572 alberi di gelso, disposti in filari paralleli alle Mura Aureliane: gli olmi, alti e vigorosi, posizionati a scopo ornamentale ai due lati del viale, accompagnano gli alberi di gelso, di minore altezza ma frondosi e posti in quadruplice filare, nell’ampia distesa di terreno che dallo stradone si estende sino alle Mura Aureliane. Gli alti olmi, con la loro estesa chioma, garantiscono eleganza all’ambiente, mentre i gelsi, con la loro ramificazione irregolare e la chioma assai allargata, garantiscono una fresca e fitta ombra nelle calde e assolate giornate estive.
Dalla vegetazione anche ricchezza e lavoro
Con motu proprio del 9 novembre 1744 il papa dona tutto, ‘irrevocabilmente ed in perpetuo’, alla basilica di Santa Croce in Gerusalemme e, per essa, ai cistercensi della congregazione di San Bernardo che officiano la basilica, obbligati però al mantenimento e alla custodia dello stradone e delle piante ‘in esso, e terreno adiacente, esistenti per surrogarne e piantarne di nuove’. Ai monaci viene quindi concesso il diritto di tenere chiuso lo stradone con la catena di ferro e in questo modo avrebbero mantenuto l’esclusiva sul ricavato proveniente ‘dall’erbe e fieno del terreno adiacente’ nonché dai gelsi, le cui foglie costituiscono l’alimento base per l’allevamento dei bachi da seta, oltre ad essere apprezzati per i frutti gustosi, le more, che grazie ad una tarda fioritura primaverile maturano in estate in grande abbondanza.
La mappa topografica di Giovan Battista Nolli del 1748 ben rappresenta lo stradone di Santa Croce in Gerusalemme e la sua caratteristica alberata, così come ebbero modo certamente di ammirarla i frequentatori di quei luoghi esquilini nel corso di oltre cento anni: non soltanto i numerosi fedeli che dalla basilica di San Giovanni in Laterano si recavano a Santa Croce in Gerusalemme per vedere le reliquie della Croce Santa, ma anche i viaggiatori europei del Grand Tour in visita nella città dei papi e gli ospiti illustri delle frequentatissime feste campestri che la principessa russa Zenaide, ‘colta letterata ed amante della vita mondana’, organizzava insieme al marito, principe Nikita Wolkonskj, nella villa suburbana posta lungo lo stradone, quando l’afa romana rendeva meno invitante il soggiorno nei palazzi di città.
Per la difesa della Repubblica Romana,
molte alberature vengono abbattute
Durante la Repubblica Romana, per difendere la città dai francesi, il 19 aprile 1849 anche gli alberi dello stradone di Santa Croce in Gerusalemme vengono abbattuti, ‘lasciati a terra incrociati per barricate’.
Oggi, quel paesaggio di agreste bellezza è ormai perduto. Ai lati del viale Carlo Felice – che ha preso il posto dello Stradone di Santa Croce – svettano imponenti gli attuali platani che caratterizzano i primi decenni di Roma Capitale ma rimandano anche agli antichi romani che, come ricorda Plinio, tanto ne apprezzavano la solenne maestosità.
Carmelo G. Severino