Lo scorso 31 ottobre il Museo Nazionale d’Arte Orientale di palazzo Brancaccio ha chiuso definitivamente le porte al pubblico in vista del trasferimento nella nuova sede di piazzale Marconi
(Numero 16 – Bimestre nov-dic 2017 – Pagina 3)
Il trasferimento del MNAO, Museo Nazionale d’Arte Orientale, è per molti versi una vicenda già vista. Una storia tra le tante dei molti gioielli che il nostro Paese e la nostra città non hanno saputo valorizzare come meritavano. Quella di una ricchezza che i cittadini riscoprono solo quando la si sta per perdere o, ormai, è perduta. E così succede che ci si ritrova a manifestare per bloccare un trasferimento largamente annunciato proprio nel giorno della chiusura definitiva della sede di palazzo Brancaccio.
Una situazione nota da tempo. Quando lo scorso luglio il Museo delle Civiltà diffonde un comunicato sui nuovi allestimenti della propria sede dell’EUR, in cui si parla anche di “nuovi spazi dedicati alle collezioni dell’IsIAO, dell’IsMEO e, soprattutto, dell’ex Museo Tucci”, in pochi restano stupiti. Della chiusura della sede di palazzo Brancaccio si parlava già da tempo.
Il trasferimento era sembrato imminente nell’autunno 2014. All’epoca la mobilitazione di dipendenti e cittadini – con tanto di petizioni on-line e manifestazione a largo Leopardi – aveva conquistato le pagine della cronaca locale, anche grazie al passaggio di residenti vip come Paolo Sorrentino e Nancy Brilli. Anche il Consiglio municipale si era fatto sentire approvando all’unanimità una mozione per chiedere la permanenza e valorizzazione del MNAO in un contesto favorevole come quello dell’Esquilino.
Le motivazioni alla base del progetto avanzato dal Ministero della Cultura per il trasferimento del Museo d’Arte Orientale erano di doppia natura. Da una parte la volontà di rilanciare il polo Museale dell’EUR, dall’altra ragioni di tipo economico: spostare la sede in un edificio pubblico (all’epoca si parlava di un’ala dell’Archivio di Stato) per non pagare l’affitto ad un privato. E forse proprio per valutazioni di tipo economico il progetto di trasferimento apparentemente registrò una battuta d’arresto quando, nell’ottobre 2014, sembrò che palazzo Brancaccio potesse rientrare nei beni che il testamento della principessa Fernanda Brancaccio conferiva al Campidoglio, per dar vita ad una fondazione benefica. Ma a distanza di pochi giorni a rivendicare l’eredità intervenne un altro principe, dando vita ad un contenzioso.
Il nuovo polo museale. Il Museo delle Civiltà viene costituito nel settembre 2016. Istituto autonomo del Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo, raccoglie le collezioni del Museo preistorico etnografico “Luigi Pigorini”, del Museo delle arti e tradizioni popolari, del Museo dell’alto Medioevo, del Museo d’arte orientale “Giuseppe Tucci”: riunendo quattro grandi musei nazionali che nel tempo hanno risentito delle difficoltà causate dai tagli economici e dalla mancanza di una promozione adeguata.
La sede del Museo è piazza Guglielmo Marconi, nel quartiere dell’EUR. L’esedra della piazza ospiterà nel Palazzo delle Scienze le collezioni preistoriche, etnografiche extraeuropee, orientali e medievali, mentre il limitrofo Palazzo delle Tradizioni è la sede per le collezioni di arte e tradizioni popolari. Da quanto riportato nel comunicato diffuso a luglio dal Museo delle Civiltà, a seguito dell’investimento immobiliare effettuato nel dicembre 2015 dall’INAIL (Ente pubblico non economico), il Museo può contare su importanti unità immobiliari resesi libere al piano seminterrato e al piano terra del Palazzo delle Scienze: più di 10.000 mq che si aggiungono agli spazi già attualmente di sua pertinenza.
Forse proprio prefigurando le polemiche che il trasferimento avrebbe comportato, lo stesso
comunicato dedica ampio spazio al Museo d’Arte Orientale, “oggetto di un necessario trasferimento dall’attuale sede di Palazzo Brancaccio a via Merulana, nel quartiere dell’EUR per importanti motivi, tra i quali: la chiusura per inagibilità di alcune sue importanti zone espositive, segnate da un recente incendio; la necessità di costosi quanto ormai improcrastinabili interventi di messa a norma e in sicurezza di strutture e impianti su un antico immobile che però è in affitto da privati e non di proprietà dello Stato”. Il trasferimento in questione, continua il comunicato “non sarà un mero trasloco di oggetti destinati a rimanere nelle casse, bensì un ripensamento e una valorizzazione dell’attuale esposizione che infatti passerà dai circa 1200 mq ai circa 2400 mq ora previsti”.
Un rimpianto per l’Esquilino. Come spesso succede in questi casi, anche i numeri sono oggetto di dibattito e qualcuno ha manifestato più di un dubbio rispetto alla reale convenienza dell’operazione per le casse dello Stato.
Ma una cosa è certa: in un’ottica forse un po’ campanilistica, non si può non esprimere rammarico per la perdita di un bene culturale del nostro rione. Un gioiello troppo nascosto che poteva assumere una valenza particolare e conoscere una valorizzazione diversa in un contesto multiculturale come quello dell’Esquilino.
Ormai al Museo Nazionale d’Arte Orientale si può solo augurare di trovare maggiore fortuna nella sua nuova sede.
Antonia Niro