Un luogo di contemplazione, preghiera e lavoro nel cuore di Roma
(Numero 8 – Bimestre lug-ago 2016 – Pagina 3)
In piazza di Santa Croce in Gerusalemme, in prossimità della basilica, si trova un “orto monastico”. Già questo termine promette una storia meravigliosa da scoprire. Si tratta di un orto-giardino situato all’interno dell’Anfiteatro Castrense, che l’imperatore Eliogabalo costruì verso il 218-222 d.C. come teatro di corte e Aureliano inglobò nelle sue mura nel 270 come elemento difensivo. La costruzione faceva parte del vasto complesso residenziale destinato a diventare il vertice del sistema di proprietà imperiali nel suburbio orientale di Roma. Settimio Severo ne concepì il primo impianto sull’area dei cosiddetti Horti Variani, come lussuosa residenza distinta dalla sede sul Palatino: al centro del complesso il grande palazzo e poi le poderose strutture agonistiche del circo Variano (lungo 620 metri) per le corse dei carri, e dell’anfiteatro Castrense (252 metri di circonferenza) per le venationes, collegati da un lungo porticus triumphi, che Caracalla ed Eliogabalo usarono con sfarzo e protervia.
La basilica sessoriana. Nell’era costantiniana l’area fu ristrutturata come residenza dell’imperatrice Elena, che pose le basi della basilica ligno sanctae crucis nell’atrio già severiano cui aggiunse una vasta abside. Con la decadenza dell’impero diventa un complesso monastico con l’avvicendamento di molti ordini religiosi, tra cui i Benedettini e i Certosini,fino ai Cistercensi, che dal 1512virimasero fino a quando, nel 2009, subentra il clero secolare.
L’orto monastico. Con i cistercensi l’anfiteatro, a lungo cava di materiali per la costruzione del monastero, diventa sede di un orto, come appare anche nelle stampe rinascimentali. Interpreta così i criteri cistercensi dell’architettura “di funzione”, aggregazione di spazi e volumi ottimizzati nel loro uso, per cui il campo coltivato è espressione di quella parte della vita cistercense, ora et labora, dedicata al lavoro e al rapporto con il mondo esterno.
La riqualificazione moderna. Dal 1994 la riqualificazione degli ambienti destinati alla vita comunitaria ha inteso recuperare la tradizione monastica: non solo lo splendido refettorio con la volta affrescata dal Borgognone e i pregevoli arredi lignei, le stanze annesse alla settecentesca biblioteca e gli ambienti per la vita monastica ma anche, nel 2004, il ripristino dell’orto nell’area dell’anfiteatro, luogo di lavoro ma anche di contemplazione e preghiera, nell’armonico equilibrio tra natura e cultura, tra la sua essenza che proviene da Dio e i simbolismi attribuiti dagli uomini. Su progetto dell’architetto Paolo Pejrone e per iniziativa dell’Associazione Amici di Santa Croce in Gerusalemme viene quindi ricreato l’orto-giardino. Lo spazio ellittico è suddiviso da due vialetti pergolati che si incontrano a croce in corrispondenza di una fontana centrale, “il pozzo”, fonte di sapienza che simboleggia Cristo sorgente di vita. Le pergole sono ricoperte di viti e rose, con alternanza di uve pizzutelle bianche e nere e di morbide rose rampicanti bianche, mentre alla base un basso nastro di mammole, fragole, bergenie, agapanti e vittadini e assicura alternanza di colori e varietà di fogliame. Ai bordi dei vialetti si susseguono reperti lapidei, in artigianale “filologico” riuso. La fontana al centro è un’ampia vasca, bassa e tonda, rivestita di tufo a spacco su cui vegeta il muschio e la vittadinia, la sua acqua innaffia l’orto a scorrimento. La struttura a croce determina i quadranti con le piante orticole che si attestano su linee di coltivo concentriche, seguendo la forma del teatro. Comprendono ogni genere di verdure e ortaggi, distribuiti secondo le necessità di sole e di ombra ma anche di apporti benefici agli alberi da frutto cui sottostanno: piselli, taccole e fave per i composti azotati che producono e, in estate, melanzane, pomodori, fagiolini e tanto basilico per tenere umido e mosso il terreno. Le antiche piante di agrumi del vecchio orto, lungo la nuova pergola, preceduti da due colonne di scavo, formano una sorta di anticamera, mentre sulla parte opposta, a nord, i mirti e le spalliere di more e mele godono di maggiore ombra con i dragoncelli, i rafani e le erbe cipolline. E dappertutto piante da frutto antiche e nuove – fichi, cachi, melograni, kiwi, agrumi di ogni tipo e anche una vecchia pianta di olivo – in forma di piccoli alberi che punteggiano la minimalità dell’orto, adatto a un convento. E tanti fiori, semplici e tradizionali: gigli, mughetti, giunchiglie, rose, narcisi, tulipani mentre un arbusto di filadelfo, uno di calicanto e alcune camelie danno il tocco di bellezza finale. Il cancello d’ingresso è opera di Jannis Kounellis, realizzato nel 2007 come un grande sipario punteggiato di vetri colorati, ad affermare e anticipare le gioiose atmosfere di indistruttibile vitalità dell’orto monastico. Purtroppo oggi l’orto è solo un giardino, visitabile su richiesta, perché la mancanza di monaci ne ha fatto perdere la ragion d’essere.
Rachele Nunziata