Il palazzo ex ufficio di igiene diventerà museo grazie alla Fondazione Cerasi
(Numero 12 – Bimestre mar-apr 2017 – Pagina 4)
Man mano che le impalcature si fanno da parte ricompare quello che gli abitanti del rione erano soliti chiamare il “dente cariato di via Merulana”. Fratello, per sorte, al “dente cariato di piazza Vittorio” fino alla costruzione del palazzo che oggi ospita la sede dell’Enpam.
Oltre 40 anni ci sono voluti per ridare continuità al portico di piazza Vittorio, ripristinando il tratto crollato nel 1971. Ben 55 ne sono serviti per porre rimedio alla parziale demolizione dell’ala di via Merulana dell’edificio che un tempo ospitava l’ufficio d’igiene della Capitale, avvenuta nel lontano 1962 e rimasta per decenni immutata a perenne testimonianza dell’inerzia delle tante amministrazioni che negli anni si sono succedute.
Un restauro fedele. Oggi l’edificio che sta tornando alla vista riprende i tratti architettonici della bella palazzina di inizio secolo che, seppur ricostruita nella parte demolita, sembra interrompersi improvvisamente di netto con la facciata che dà verso viale Manzoni, dove la sede dell’assessorato comunale ai Servizi sociali ne impedisce la prosecuzione. Forse è proprio per sottolineare tale mancanza che l’architetto Carlo Lococo, autore del restauro, ha riservato alla parete uno dei pochi elementi contemporanei del progetto, una grande rete metallica bianca che ne coprirà interamente la piatta superficie.
La facciata dell’edificio appare composta da due corpi differenti. Più bassa la parte che confina con via Galilei, poco meno di 1000 mq suddivisi su 4 piani che verranno destinati ad uffici. Più ampia, alta e monumentale la parte che una volta costituiva invece l’ingresso principale, con un imponente loggiato al piano terra che, oltre ad ospitare statue, lascerà intravedere il cortile interno grazie ad un gioco di ampie vetrate. Sarà proprio questa sezione dell’edificio quella che aprirà al pubblico, sia per mostre temporanee, sia con l’esposizione permanente delle opere appartenenti alla Fondazione Elena e Claudio Cerasi, una meravigliosa collezione privata di quadri e sculture della scuola romana e italiana della prima metà del Novecento. A completare la struttura, all’ultimo piano troverà posto un elegante ristorante i cui tavoli andranno anche ad occupare il grande terrazzo che ricopre l’intero edificio.
Una collezione straordinaria. La famiglia Cerasi, una delle più importanti dinastie di costruttori romani, iniziò la sua sapiente raccolta di opere verso la fine degli anni ’70. A dare inizio alla passione per l’arte contemporanea fu l’amore a prima vista di Elena, moglie di Claudio Cerasi e vera regista della collezione, per un quadro di Campigli con due donne di profilo, poi ceduto in cambio di un’altra opera dello stesso autore. Da lì, la collezione abbracciò dapprima opere di artisti appartenenti alla scuola romana degli anni trenta (Ferruccio Ferrazzi, Guglielmo Janni, Fausto Pirandello, Francesco Trombadori, Riccardo Francalancia) e alla scuola di via Cavour (Mario Mafai, Scipione e Antonietta Raphaël), per poi estendersi anche alla scuola di piazza del Popolo degli anni sessanta (Mario Schifano e Tano Festa). Successivamente, la collezione si ampliò con opere del primo novecento italiano (Duilio Cambellotti, Giacomo Balla, Massimo Campigli, Gino Severini, Giorgio De Chirico).
Oggi la collezione conta oltre novanta opere, raccolte nel catalogo “Scuola Romana e Novecento Italiano. Una Collezione Privata”, edito da Skira. Tra queste vi sono veri gioielli: “Piccoli saltimbanchi” di Donghi, il “Ballo sul fiume” di Capogrossi, la “Comparsa” di Mario Mafai, il “Ritratto di Primo Carnera” di Balla o la “Pettinatrice” di Antonietta Raphaël.
La zavorra della burocrazia. L’apertura è prevista entro il 2017, ma sono ormai oltre 15 anni che la famiglia Cerasi rincorre questo obiettivo. Da quando partecipò tramite la SAC Spa, Società Appalti Costruzioni, di cui la famiglia è fondatrice e proprietaria, alla gara di project financing indetta dall’allora sindaco Veltroni. Era il lontano 2002. Nonostante l’aggiudicazione della gara, sono dovuti trascorrere ben 12 anni prima che i lavori potessero realmente iniziare. L’Asl RmA, che occupava i locali, li ha infatti lasciati solo nel 2014, malgrado l’edificio fosse anche a rischio stabilità. Ora l’accordo con il comune prevede la concessione dei locali alla Fondazione Cerasi per i prossimi 90 anni. I costi dell’operazione, circa 5 milioni e mezzo di euro, sono stati sostenuti interamente dai privati. Una storia emblematica che ci dimostra come la macchina amministrativa della nostra città sia ingolfata a tal punto che, anche quando decide di delegare al privato il compito di gestire i propri beni, non riesce a rendere fluide le procedure. Finisce così che i tempi necessari alla costruzione materiale di un’opera siano più rapidi rispetto a quelli richiesti dalle relative autorizzazioni. Nonostante ciò, per fortuna, privati disposti ad investire e ad affrontare simili avventure ancora esistono.
Riccardo Iacobucci