L’imponente edificio di via Giolitti, tra i più rappresentati dalle fonti iconografiche dal XV al XIX secolo, è stato oggetto di un intervento di restauro che ha permesso di conoscerne meglio la storia
(Numero 29 – Bimestre gen-feb 2020 – Pagina 1,5)
Entrando col treno nella stazione Termini, se il binario è quello giusto, può capitare di intravedere le vestigia di un monumento poco visitato dai turisti e spesso sconosciuto anche ai romani. Lo sviluppo della città l’ha costretto in uno spazio ristretto, sospeso tra i binari delle Ferrovie dello Stato e quelli delle ‘Laziali’. Noto come Tempio di Minerva Medica, l’edificio in realtà apparteneva ad un grande complesso di epoca tardo-antica del quale costituiva un grande ambiente di rappresentanza.
È uno dei gioielli nascosti di via Giolitti, di cui abbiamo parlato con Marina Magnani Cianetti, curatrice, insieme a Maria Rosaria Barbera, di ‘Minerva Medica. Ricerche, scavi e restauri’ (Mondadori Electa, 2019), la prima monografia completa su uno dei più singolari e arditi monumenti del IV secolo d.C. a Roma.
Marina Magnani Cianetti, il cosiddetto Tempio di Minerva Medica ha avuto una forte influenza nell’architettura moderna ed è stato protagonista di una straordinaria fortuna visiva nel vedutismo. Quali sono le peculiarità di questo monumento?
Il cosiddetto Tempio di Minerva Medica, che emerge ancora in modo imponente dal tessuto edilizio dell’Esquilino, è uno dei monumenti della Roma antica più suggestivi e misteriosi; il suo stesso nome deriva da un’errata interpretazione che ha avuto fortuna a partire da Pirro Ligorio (XVI sec.) ed è tuttora usata per designarlo. Nonostante l’abbandono, i crolli e la spoliazione della decorazione avvenuti già in età antica e medievale è tra gli edifici più rappresentati dalle fonti iconografiche dal XV al XIX secolo proprio per la sua caratteristica pianta decagonale polilobata con le nicchie sporgenti e la maestosa cupola emisferica, la terza a Roma per le imponenti dimensioni. Ci è anche giunta una vasta documentazione di architetti, trattatisti e disegnatori che studiarono le peculiarità di Minerva Medica per trarne ispirazione. Oggi la visuale migliore da cui apprezzare il monumento forse è dal treno, quando si arriva o si parte da Termini.
Lei ha diretto insieme a Maria Rosaria Barbera i lavori del recente intervento di restauro. In cosa è consistito e perché è stato necessario?
Il restauro per la messa in sicurezza, condotto dalla Soprintendenza Archeologica di Roma (2012-2016), è stato necessario per risolvere criticità strutturali, come la progressiva riduzione della cupola che pregiudicava la conservazione dell’intero edificio. Tra i maggiori responsabili dei dissesti, oltre all’incuria, vi erano certamente il carattere innovativo dell’architettura e la precarietà della base fondale. Sono stati pertanto effettuati studi documentari, scavi archeologici, indagini strumentali e rilievi per approfondire la conoscenza dell’edificio e la sua interazione con le strutture preesistenti e il terreno su cui poggia, che ha una stratigrafia molto irregolare. Ciò ha permesso di avviare i lavori che sono consistiti nel consolidare le murature fondali e quelle in elevato; integrare il tamburo per ripristinare l’effetto cerchiante della cupola; recuperare i lacerti della ricchissima decorazione; intervenire sull’intradosso e sull’estradosso della calotta, sui gradoni e sulle sommità per migliorare lo smaltimento delle acque.
Quali sono state le principali criticità?
L’intervento più delicato è stato quello vòlto a restituire solidità all’edificio reintegrando la grossa lacuna muraria sul versante sudest con tre nuove arcate in muratura armata poggiate sull’unico pilastro ottocentesco, rafforzato con cavi di acciaio ancorati in alto alla nuova struttura e in basso alla fondazione preesistente sottofondata; l’integrazione (mattoni e bipedali, appositamente realizzati con misure e coloriture simili agli originali) è stata progettata calibrando esigenze di conservazione e sicurezza. La presenza del tram su via Giolitti ha inoltre costretto a eseguire i lavori di consolidamento di quel tratto murario di notte e con l’impiego dell’edilizia acrobatica. La complessa geometria del monumento ha richiesto infine continue verifiche ai ponteggi e un particolare impegno per la sicurezza del cantiere, dove hanno lavorato in squadra archeologi, architeti, strutturisti, restauratori e più imprese contemporaneamente per ottimizzare i tempi.
Il restauro è stato anche occasione di nuovi studi sul monumento. Quali sono gli elementi conoscitivi più importanti che siete riusciti a raccogliere?
Si può confermare che l’aula decagonale presenta stilemi propri dell’architettura costantiniana, che era un padiglione riccamente decorato con funzioni triclinari (riscaldamento sotto le tre absidi a sudest) e che apparteneva a una residenza di committenza assai elevata. Gli scavi hanno consentito di conoscere la conformazione geomorfologica del sito e soprattutto di rintracciarne le preesistenze: strutture in opera reticolata che delimitavano gli antichi horti dell’Esquilino dal I secolo a.C. e murature precedenti relative a un edificio ubicato sul versante sudest destinato probabilmente a scopi agricoli. Sono state inoltre individuate le fasi e le trasformazioni architettoniche più significative succedutesi dai primi anni del IV alla metà del V secolo d.C.
Lei è tra i promotori del forum ‘Esquilino chiama Roma’. Che contributo può dare la cultura al rilancio del nostro rione?
La cultura, intesa nell’accezione più ampia, è alla base di ogni tipo di intervento di rilancio e rigenerazione urbana. Ciò è possibile attraverso una conoscenza integrata, condivisa e partecipata; dunque un’azione finalizzata alla riqualificazione, alla coesione socio-culturale e alla valorizzazione di quel patrimonio materiale e immateriale che è peculiare dell’Esquilino. Al fine di trasmettere e condividere con la comunità il valore dell’eredità culturale propria di questo territorio così complesso e denso di presenze antropiche diverse stiamo avviando incontri, confronti e attività che possano contribuire a raggiungere soluzioni condivise per migliorare le condizioni di vita dei residenti e il decoro del Rione.
Antonia Niro